Mario Perrotta

L’Unione Sarda

Ligabue, il matto che disegnava la voglia d’amore Un bès magistrale lavoro allestito nei giorni scorsi al Ridotto del Massimo per il cartellone del Teatro Stabile di Sardegna. Dove l’attore recita di spalle. Davanti a una tela. Lo chiamavano Al Matt, strano, era strano, il Toni, con quella faccia storta e i modi bruschi. Colpa […]

Ligabue, il matto che disegnava la voglia d’amore

Un bès magistrale lavoro allestito nei giorni scorsi al Ridotto del Massimo per il cartellone del Teatro Stabile di Sardegna. Dove l’attore recita di spalle. Davanti a una tela.

Lo chiamavano Al Matt, strano, era strano, il Toni, con quella faccia storta e i modi bruschi. Colpa di una vita grama fin dalla nascita, a Zurigo nel 1899, figlio di padre ignoto e di una madre morta presto. Antonio Ligabue di suo non aveva neanche il cognome. Quello anagrafico, Laccabue, glielo aveva dato il patrigno. Uomo odiato quanto amata fu dal ragazzino difficile la madre adottiva Elise Hanselmann. Ebbe la sua prima crisi nervosa e il primo ricovero nel 1917. Espulso dalla Svizzera, fu mandato a Gualtieri, paese della bassa reggiana, nel 1920. Non parlava italiano, si esprimeva in Schweizerdeutsch, dialetto alemanno. Dormiva nei boschi, imitando i versi degli animali. Irriso da tutti per la sua testa deforme, la sua corporatura rachitica. Sugli argini cominciò a modellare con l’argilla forme di scimmie e di mucche.
Fu Renato Mazzacurati, della Scuola Romana, a fargli conoscere i colori a olio coi quali dipinse il suo famoso bestiario, aquile, leoni, serpenti, giraffe, creature mai viste tra i pioppi della pianura. La fauna esotica la scoprì sulle figurine Liebig, sull’unico libro che possedeva – un trattato di Scienze Naturali – e nei film di Tarzan, che seguiva disturbando gli astanti con grugniti e ruggiti. “Era infilato in un pastrano da carabiniere rigonfio di fieno e legato con le corde”, raccontò Mazzacurati.
“Lessava un gatto su un fornello di mattoni”.
Con un simile pastrano addosso si presenta Mario Perrotta, protagonista di Un bès magistrale lavoro allestito nei giorni scorsi al Ridotto del Massimo per il cartellone del Teatro Stabile di Sardegna. Prende il pubblico alle spalle, questo autore che ha vinto il Premio Ubu 2013 come migliore attore e il Premio Hystrio 2014 per uno spettacolo prodotto dal Teatro dell’Argine con i contributi di Paola Roscioli, Riccardo Paterlini, Luigi Burroni e Stefano Salerno.
“Lo faccio con la precisa intenzione di chiamare in causa le persone e far capire che quel che succede agli altri ci riguarda”, dice Perrotta. Fatto sì è che gli spettatori hanno seguito con totale adesione la ricostruzione di una vicenda umana di un artista a torto definito naif. Era altro Ligabue, era un solitario appartenente alla schiera degli indefinibili, un essere che riversava sui quadri il suo desiderio d’amore. Perrotta disegna incessantemente col carboncino, mentre recita con alto dispiego di energia fisica.
Mette su un monologo che in realtà è una serie di dialoghi con Mutter Elise, i compaesani, i medici che gli spiegano il suo caso, una centralista cui subito propone di sposarlo. Ein, zwei, drei….Perrotta/Ligabue conta le facce che stanno a guardarlo e ognuno si sente interpellato.
L’atto unico si chiude su un fotogramma del documentario di Andreassi girato nel 1962. Il pittore che ormai, dopo una mostra alla Barcaccia di Roma, era famoso e aveva i soldi per comprarsi le Guzzi rosse è ancora lì, al punto di partenza, a elemosinare un bacio da una donna che si schermisce. Nelle immagini precedenti lo si vede davanti a un autoritratto che non riesce a finire. Mugola, piange, fa smorfie.
Perrotta ammette di provare tenerezza, per quest’uomo brutto e selvaggio che aveva nelle tasche le caramelle per i bambini.