Mario Perrotta

Il Resto del Carlino – Bologna

La recensione… prosa Nella geografia immaginaria e fatalmente approssimativa del teatro di narrazione, che situa Marco Paolini nel Nord Est e Ascanio Celestini in un Centritalia meticcio, il Sud tocca con Enia, Scaldati ed altri anche a Mario Perrotta. Non perché nel flusso del suo dire il dialetto (pugliese, anzi leccese) sia dominante, ma grazie […]

La recensione… prosa

Nella geografia immaginaria e fatalmente approssimativa del teatro di narrazione, che situa Marco Paolini nel Nord Est e Ascanio Celestini in un Centritalia meticcio, il Sud tocca con Enia, Scaldati ed altri anche a Mario Perrotta. Non perché nel flusso del suo dire il dialetto (pugliese, anzi leccese) sia dominante, ma grazie alla colorazione tipicamente meridionale dell’efflorescenza che coinvolge fatti, persone, situazioni concrete e subito trasfigurate in forma epica. Accade anche in questa seconda parte del progetto Italiani Cìncali dedicato all’emigrazione, che tanti meritati consensi ha ricevuto ovunque. Dopo i minatori in Belgio, la rievocazione dei tempi in cui «gli albanesi eravamo noi» tocca la Svizzera, meta fra tutte emblematica: un paradiso asettico, freddo e vagamente disumano per milioni di emigrati del nostro Sud. Ne La Turnàta (scritta con Nicola Bonazzi) Perrotta racconta il ritorno da Zurigo a Lecce di una famiglia che rientra definitivamente a casa, sconfitta dall’ostilità xenofoba di uomini ed istituzioni elvetiche. Padre, madre, il nonno morto da riportare giù, un battagliero sindacalista. E Nino, il narratore, un bambino di nove anni che della Svizzera ha visto solo una stanza. Siamo nel luglio 1969, proprio la notte dello sbarco sulla luna, che accende raffronti immaginosi e miti casalinghi. la sobria (niente gesti esosi, pochi effetti), ma fisica plasticità della rievocazione in cui si mescolano epos, cronaca, denuncia civile, e da cui trapela il ritratto di tre generazioni d’emigrati, vince e convince anche stavolta.