Mario Perrotta

Corriere della Sera – Roma

L’emigrante viaggia con il nonno morto Il teatro di narrazione piace molto, interessa con la verità storica di quel che riferisce e col trasferirla in un’ottica personale, quindi emotiva, capace di arrivare allo spettatore e coinvolgerlo. Il successo è iniziato con quello di denuncia di Marco Paolini, poi ci sono state le ricostruzioni sociali di […]

L’emigrante viaggia con il nonno morto

Il teatro di narrazione piace molto, interessa con la verità storica di quel che riferisce e col trasferirla in un’ottica personale, quindi emotiva, capace di arrivare allo spettatore e coinvolgerlo. Il successo è iniziato con quello di denuncia di Marco Paolini, poi ci sono state le ricostruzioni sociali di Laura Curino, ora ha preso rilievo Ascanio Celestini con le sue rivisitazioni degli anni di guerra, e dietro di loro si affacciano in molti altri. Tra questi mi pare meriti di essere notato Mario Perrotta, che ha presentato la seconda parte del dittico Italiani Cìncali!. Racconta una “Turnata”, ritorno definitivo di un emigrante che, anche quando avviene nel 1969 in una bella macchina come un’Alfa Romeo, sa comunque di sconfitta. Antonio Filace, detto Nino ‘u steccu, per il suo fisico, la sua turnata, pur nella gioia di riacquistare la mitica dimensione del suo paese, in Puglia, decantatagli dal nonno, la compie come fuga, per necessità. Il nonno è morto in Svizzera, e seppellirlo lì, a Zurigo, o farlo trasportare in Italia costa troppo. Nasce allora un viaggio grottesco e tragico, in macchina col nonno morto dietro, vestito e cappello calato sugli occhi, come dormisse, e il povero Nino, di nove anni, costretto nel bagagliaio, perché clandestino: i lavoratori stagionali avevano il divieto di portarsi appresso i figli, ma lo facevano, costringendoli a vivere chiusi in casa. Col viaggio, è la luna il punto di riferimento, quella luna che non cambia mai, sempre la stessa al paese e all’estero, su cui stanno per sbarcare i primi astronauti. I temi che in macchina vengono toccati sono i più vari, per restituirci la realtà (e anche i dati) di quando eravamo noi gli emigrati, insultati come “cìncali” (zingari), sfruttati, emarginati, ma con l’ottica ingenua eppure cosciente di un bambino. Un bel racconto, ricco di invenzioni, che acquista intensità man mano che procede e, seduto su una sedia, Perrotta, anche autore del testo con Nicola Bonazzi, ci fa sentire la nostalgia dolorosa e magica di quei ricordi.