Mario Perrotta

Gazzetta del Mezzogiorno

“Italiani Cincali!” in scena all’Orologio. Con più di qualche emozione.Sulla pelle dei dannati senza Il salentino Perrotta racconta storie di ordinaria emigrazione. ROMA – E’ un oratorio laico di sole parole, trepidante e coinvolgente; un monologo appassionato e toccante; una testimonianza dolorosa e bruciante sull’emigrazione italiana del secondo dopoguerra. E Italiani Cìncali! uno spettacolo interpretato […]

“Italiani Cincali!” in scena all’Orologio. Con più di qualche emozione.Sulla pelle dei dannati senza

Il salentino Perrotta racconta storie di ordinaria emigrazione.
ROMA – E’ un oratorio laico di sole parole, trepidante e coinvolgente; un monologo appassionato e toccante; una testimonianza dolorosa e bruciante sull’emigrazione italiana del secondo dopoguerra. E Italiani Cìncali! uno spettacolo interpretato e diretto dal leccese Mario Perrotta, anche autore del testo con Nicola Bonazzi, che dopo un rodaggio nello scorso mese di agosto in alcuni comuni del Salento è ora in scena al Teatro dell’Orologio a Roma (Sala Artaud) nel suo assetto definitivo.
Nel torrentizio flusso di parole che Perrotta rivolge al pubblico, quasi alla stregua di un fabulatore, c’è quasi un anno di lavoro di ricerca, di testimonianze scritte e orali girando in macchina per il Sud (nel Salento in particolare), entrando nei bar e chiedendo alla gente comune storie di emigranti, di cìncali, cioè di zingari (cosi venivano chiamati gli emigranti italiani in Svizzera), costretti a lasciare il proprio paese per un pezzo di pane, Solo in scena, canottiera bianca e piedi scalzi, Mario Perrotta s’affida a ricordi personali di viaggi sull’Espresso Lecce-Stoccarda, quando da ragazzo veniva affidato dalla madre agli emigranti per raggiungere il padre che lavorava a Bergamo, per poi dare voce a un postino, coscienza involontaria di un’intera comunità e ponte ideale con il mondo, lui che ha viaggiato più di tutti senza mai muoversi dal paese.
Ecco allora materializzarsi storie di solitudine e di disagio, di speranze e nostalgie, di amori e di affetti familiari “interrotti”, di lavoro duro e scavare nelle miniere di carbone, profonde come abissi e nere come la notte. E vengono alla memoria morti, tragedie come quella di Marcinelle, il nome del paesino del Belgio diventato il simbolo di una sciagura italiana. Il postino elenca anni e vittime, in un crescendo emotivo che lascia senza fiato, e le migrazioni di ieri si confrontano con quelle di oggi, col Salento che prima esportava braccia da lavoro mentre oggi accoglie uomini in fuga dalle guerre e dalle disperazioni sociali.
Gran bell’esempio di teatro civile quello proposto da Perrotta, che ha scelto di dare voce all’emigrazione verso i paesi del Nord-Europa, a quegli emigrati considerati di scarto rispetto a quelli che partivano per paesi transoceanici. Quell’emigrazione negletta, finora tenuta in poco conto, nelle sue parole esplode in tutta la sua tragedia e chiede attenzione, riguardo, verità e dignità.
La realtà allora diventa teatro e poi ancora emozione, che Perrotta fa arrivare dritta al cuore con la sua interpretazione attenta, scrupolosa, intensa. A questa prima parte denominata Minatori in Belgio, primo caso di emigrazione assistita dallo Stato del dopoguerra, ne seguirà una seconda neI 2004 che si occuperà degli emigrati in Francia, Svizzera e Germania e l’intero spettacolo che gode del patrocinio del Ministero degli Italiani nel Mondo, sarà presentato in un’unica serata l’8 agosto del 2004 a Marcinelle, per commemorarne la tragedia mineraria avvenuta nel 1956 nella cittadina belga.