Mario Perrotta

Corriere di Firenze

Misantropo di Mario Perrotta CASTIGLIONCELLO – Perrotta c’è ma non si vede. Anzi a guardar bene, a scrutare le sediole, gli sgabelli precari come trespoli da pappagallo sui quali stanno il manipolo di attori dai passi di danza tangheiri, “metà strehleriani e metà ronconiani” dice il cincalo italiano, sono moltiplicate all’esterno di un ring, un […]

Misantropo di Mario Perrotta

CASTIGLIONCELLO – Perrotta c’è ma non si vede. Anzi a guardar bene, a scrutare le sediole, gli sgabelli precari come trespoli da pappagallo sui quali stanno il manipolo di attori dai passi di danza tangheiri, “metà strehleriani e metà ronconiani” dice il cincalo italiano, sono moltiplicate all’esterno di un ring, un quadrato delimitato da rette bianche, confine marcato ed irrinunciabile, soglia del dentro o fuori, il centro e il limbo, la presa di coscienza o il trasporto del sistema. Chiamala la tirannia della maggioranza. E la storia del “Misantropo” moleriano (presentato in prima al Festival delle Colline torinesi) sembra perfetta per descrivere i nostri tempi e la traduzione di Perrotta, fresca, diretta come diretti con i guantoni tra le corde, dal linguaggio quotidiano senza scadere in quello televisivo, ben riesce a dare ritmo ed una ulteriore regia. Una scelta politica. Al centro la moralità, obiettivo e fulcro della storia artistica del Perrotta che dal “fuori” dell’immigrazione, dall’indignazione del “lontano”, adesso scende nelle viscere nostre, terrene e tricolori, che le faccende a noi vicine sono sempre più difficili da stigmatizzare, da darne un contorno preciso e non partigiano. E’ un progetto triennale che dopo questo Moliere ’09 passerà ad un Aristofane nel 2010 ed a Flaubert nell’11. Trilogia dell’individuo sociale. Perrotta, tra gli otto attori, si ricicla e si ritaglia il ruolo più piccolo, quello di Oronte. Un quadrato-arena che l’ottimo protagonista Alceste, duro, sudato, iperattivo, percorre sul filo, nel perimetro senza imbattersi nelle onde dolci e salottiere del centro delle lusinghe e delle convenzioni. I costumi di scena sono coloratissimi, gli attori non escono mai di scena, e tutti hanno uno specchio in mano con la doppia funzione rivelatrice: se da un lato è lo specchiarsi un vezzo istintivo e maniacale nell’intento di ri-conoscersi nella stupida estetica senza sostanza né profondità come in un’unica bidimensionalità, dall’altro il cristallo di riflessi è anche il mezzo per vedersi nelle fattezze, nei difetti dell’altro, rinnegandolo, bloccandone l’arrivo nel proprio spazio vitale come la paletta della polizia stradale, come un divieto di transito. E l’ingiustizia urlata da Moliere per i malaffari ed i personaggi viscidi e sordidi del proprio tempo diventa in Perrotta non una violenta presa di posizione, non un’aggressione verbale ma un continuo e leggero (e quindi ancor più penetrante perché ironico e giocoso) dileggio nei confronti di icone che nel nostro deturpato Bel Paese fanno tendenza e moda e creano seguiti, a tratti anche infarcendosi la bocca con parole sacre come “cultura” e “politica”. In questo paniere stanno le rime dal sapore goliardico, stilettate sobrie, che tirano in ballo la Carfagna e il Vecchio Cavaliere, “i tacchi non danno la statura per governare un Paese”, come Maria De Filippi, Ignazio La Russa e l’“equilibrista” Casini, Alba Parietti “sembra che sia in calore in tutte le stagioni”, D’Alema, il Tartufo-Vespa “il cortigiano che bussa a Porta a Porta”. Il rigetto che accomuna l’autore francese e il nostro “turnato” è un vomito contro le veline e il berlusconismo, i figli di papà, le falsità, l’ipocrisia, la malizia, la compiacenza, l’imbroglio, la frode, la corruzione, morale e materiale, la furbizia, gli adulatori, i leccapiedi dalle lodi sperticate, un mondo dove “è un vanto non aver mai letto un libro”. La beffa è che ognuno di noi, in teoria, è d’accordo nel condannare questo sistema di disvalori, poi, nel nostro piccolo, cediamo, acconsentiamo, chiniamo la testa o la voltiamo da un’altra parte.