La Primavera dei teatri è tornata
[…] In scena dunque nuova drammaturgia e nuove forme, il teatro degli uomini soli – fra i quali ricordiamo almeno il raffinato lavoro in progress di Noosfera Museum di Roberto Latini e l’intelligente, ironico Cucinarramingo di Giancarlo Bloise dove il cucinare è un modo per raccontare la storia del mondo – e quello dei gruppi, gli uni e gli altri ponte ideale fra il nostro presente e un futuro incerto.
Ecco allora che Mario Perrotta con il suo Un bès – Antonio Ligabue si conferma una delle punte di diamante del teatro di narrazione. Ma in questo spettacolo, prima cellula di un progetto in tre parti, a macchia di leopardo, che arriverà a conclusione nel 2015, Perrotta con grande bravura è sì l’attore solo che racconta, ma, allo stesso tempo «è» Ligabue, l’artista naïf dalla pennellata violenta e dal mondo immaginario. E quel «bès» che il pittore chiedeva a chiunque incontrasse nel suo bisogno di tenerezza, questa sua solitudine affollata, è un mondo che Perrotta ha saputo teatralmente cogliere per superare l’ostracismo, la derisione che circondava quest’uomo «sbagliato» convinto che fosse nato tredici giorni dopo, il 1 gennaio 1900, con il «vento nuovo» la sua vita sarebbe stata giusta. Un bambino nato in Svizzera, padre ignoto dato irregolarmente in affido dalla madre a una coppia di contadini svizzeri, che ha disceso tutti i gradini di quella follia, di quel disadattamento che lui riusciva a esorcizzare grazie al disegno, alla pittura. Mario Perrotta, solo in palcoscenico, di fronte a tre grandi cavalletti, con rara forza performativa, grazie a un ritmo che prende alla gola, ci restituisce la parlata tedesco-emiliana di Ligabue. E disegnando a carboncino su ampi fogli che via via si consumano, ne insegue il gesto febbrile: volti, animali in un crescendo creativo che va di pari passo con le parole del suo affascinante racconto. […]