Un bès. Perrotta nel genio e nella pazzia di Ligabue
“Un bès… Dam un bès, uno solo! Che un giorno diventerà tutto splendido. Per me e per voi”.
Dopo il debutto a Castrovillari per Primavera dei Teatri, e prima di arrivare ad Asti Teatro la prossima settimana, il nuovo spettacolo di Mario Perrotta è approdato a Milano nell’ambito della rassegna Da vicino nessuno è normale che, per merito dell’associazione Olinda, propone una ricca e interessante rassegna teatrale estiva nell’ex Ospedale Psichiatrico Paolo Pini, quest’anno fino al 14 luglio.
L’attore, regista e narratore leccese, ormai trapiantato nella periferia bolognese dal Teatro dell’Argine, dopo la trilogia sull’individuo sociale, dedica ora il suo interesse alla tormentata figura del pittore Antonio Ligabue.
Un bès rappresenta, anche stavolta, la prima parte di una trilogia che continuerà il prossimo anno con Svizzera e furore, cui si affiancherà la danza di Micha Von Hoecke, mentre nel 2015 si concluderà con l’happening Antonio sul Po, con più di 80 artisti provenienti da tutto il mondo per invadere, per una giornata, un vasto territorio intorno a Gualtieri, la cittadina nelle vicinanze di Reggio Emilia dove il pittore (all’anagrafe Antonio Laccabue) soggiornò e morì, espulso dalla natia Svizzera.
Anche stavolta un progetto a lungo respiro, dunque, che è iniziato già da tempo con un lavoro capzioso di preparazione che Perrotta ha composto attraverso studi, incontri, interviste, analisi e visite sul campo.
Nello spettacolo, Perrotta non racconta Ligabue ma è Ligabue, in un’immedesimazione totale di commovente fragilità. E lo fa sin dall’inizio, quando timido, esitante, si presenta tra il pubblico a mendicare un bacio.
Non è un racconto interpretativo lineare, il suo, come accade realmente nella “pazzia”; l’attore esce ed entra continuamente dalla parte, conferendo in questo modo un fortissimo risalto umano al personaggio.
E sarà appunto questo “Dam un bès” ad accompagnarci per tutta la performance, a sottolineare l’estenuato ed estenuante bisogno di amare ed essere amato, come al pittore accadde forse solo nella prima infanzia.
Nato in Svizzera, tredici giorni prima dell’inizio del Novecento, figlio di padre ignoto ma poi riconosciuto dal marito della madre, l’emigrante italiano Bonfiglio Laccabue, sarà affidato a Elise Hanselmann e al marito dopo la morte prematura della madre naturale, Elisabetta Costa.
Il primo omaggio è quindi a lei, a Mutter Elise. E’ uno dei momenti più toccanti dello spettacolo, quando sotto il suo viso, che ha appena finito di disegnare (Perrotta per tutto lo spettacolo dipingerà col carboncino), inizia a raccontare, anzi a vivere e a dipingere, l’infanzia di Ligabue tra le montagne svizzere, in mezzo alle bestie, amando quella madre che non gli è madre, ma che lo è immensamente di più, a soffrire per il distacco da lei per essere condotto al manicomio, ed ancora una volta da lei.
Ma Antonio Ligabue solo per poco ritornerà dalla sua “mutter” perché sarà costretto a 19 anni a lasciare la sua terra per Gualtieri, paese d’origine di quel genitore che lo ha riconosciuto per burocrazia, ma non per amore.
Strappato a quelle montagne, dovrà vivere in un mondo che gli sarà sempre ostile, che lo vedrà sempre come lo scemo del paese (“al mat, al todesch”), un uomo selvatico che si esprime metà in tedesco e metà in emiliano, che parla con le piante, che disegna donne nude sui tronchi degli alberi e che chi gli è vicino, schernendolo ogni volta, costringerà a vivere isolato per molti anni.
Qui, solo nel bosco, vicino al fiume, disegna con impasti che si costruisce da solo ciò che osserva: la natura, gli animali innanzitutto, finchè Renato Marino Mazzacurati gli farà conoscere colori a lui sconosciuti, facendolo diventare pittore a tutti gli effetti, e famoso con la sua prima mostra.
Perrotta scandisce tutti questi avvenimenti con un’immedesimazione totale, mai esteriore al personaggio, dipingendo in modo efficace le sue visioni su grandi fogli.
Lo accompagnano pochissime immagini proiettate, che fanno da fondale e, alla fine, un commovente filmato d’epoca, in cui forse quel bacio, a fronte di un piccolo mirabile disegno, verrà finalmente dato.