Mario Perrotta

Corriere.it

Viaggi teatrali d’estate: a Volterra, quando nel carcere svaniscono le sbarre Un palazzo incantato, ricco di specchi, di fregi, di stucchi, di fiori e di velluti. Una piazza scatenata di danze e felicità. Un luogo dove la parola rifulge e si fa anima. Tutto ciò è diventato in questi giorni il carcere della Fortezza, per […]

Viaggi teatrali d’estate: a Volterra, quando nel carcere svaniscono le sbarre

Un palazzo incantato, ricco di specchi, di fregi, di stucchi, di fiori e di velluti. Una piazza scatenata di danze e felicità. Un luogo dove la parola rifulge e si fa anima. Tutto ciò è diventato in questi giorni il carcere della Fortezza, per il festival VolterraTeatro che celebra i 25 anni della Compagnia della Fortezza. Dopo un prologo nei paesi vicini, in attesa della conclusione con la ripresa di Mercuzio non vuole morire nel teatro Persio Flacco, tutto gli spettacoli si sono svolti in un carcere in cui gli ambienti aperti e chiusi prendevano nomi di artisti visionari, diventando spazio Brecht, spazio Artaud, spazio Genet, spazio Kafka, spazio Leopardi, spazio Rabelais…

Ha inaugurato quest’ultima settimana di festival tra le sbarre Santo Genet Commediante e Martire, il nuovo spettacolo firmato da Armando Punzo, sul quale tornerò più diffusamente in questa e in altra sede. […]

Ma tutto il festival proietta il teatro nello specchio deformante e rivelante del carcere: dalla presentazione del libro che ricorda spettacoli e pensieri di questo meraviglioso cammino della Fortezza, È ai vinti che va il suo amore (edizioni Clichy di Firenze), allo struggente concerto di canzoni d’amore di Danio Manfredini, indossate come un dolore personale lancinante, lanciate nell’aria come un grido di passione che sfida il mondo, meditate con versi di Mariangela Gualtieri. Ed è la prima delle ovazioni. Tocca il pomeriggio dopo, in un festival spesso senza fari e senza supporti di filmati e video, in piena luce, a Mario Perrotta entusiasmare fino alla commozione il pubblico accorso da tutta Italia e fatto anche di carcerati con il suo Un bès, la vita, i dolori, le esclusioni di Antonio Ligabue portate dentro di sé con passione, dolore, stralunata e emozionantissima identificazione, una via crucis “cum figuris”, illustrata da disegni a carboncino eseguiti dall’attore in scena. Nel finale, un finale di morte e di strazio, per una vita misconosciuta come quelle di molti che qui sono reclusi, scoppia un attimo di silenzio, e poi l’ovazione.