Perrotta brilla, il “Milite Ignoto” si innalza dal fango delle trincee
Un grande attore, un grande testo, una grande idea. Ecco che cosa è davvero necessario per ottenere un grande teatro. Mario Perrotta lo ha dimostrato l’altra sera al Castello di Romeo di Montecchio Maggiore, offrendo al pubblico di Operaestate uno degli spettacoli più intensi, intelligenti, tecnicamente riusciti e artisticamente completi visti nelle ultime stagioni.
Inserito nello sdrucciolevole sentiero del centenario della prima guerra mondiale, il suo Milite Ignoto – quindicidiciotto mostra di non cedere alle tentazioni degli eventi “da anniversario”, destinati a durare quanto un cerino: al contrario, brilla di luce propria, solido e potente, figlio di quella stessa seria ricerca che nel tempo ha portato l’attore leccese a lasciare il segno con opere come Italiani Cìncali! o la trilogia su Antonio Ligabue da poco conclusa.
Ispirato alla raccolta di diari curata da Nicola Maranesi, Milite ignoto è storia individuale e collettiva di uno tra i milioni di giovani strappati a una vita normale e umana e scaraventati in quella disumana e surreale di una guerra non voluta e non capita. Maglia e calzoni quasi dello stesso colore dei sacchi di sabbia sui quali è seduto, Perrotta è l’unico soldato rimasto vivo dopo lo scoppio improvviso di una bomba. In un attimo ha perduto tutti i compagni e la memoria di sé, assimilando però quella degli altri, i loro nomi, le loro voci, le loro parlate dialettali. Simbolo di un’Italia che proprio nelle trincee, per la prima volta dopo l’unità, si incontrò faccia a faccia e cominciò a fondersi, il Milite ignoto di Perrotta racconta con le parole e con i cinque sensi gli orrori della guerra, la sua tragica assurdità, tra echi della grande storia e affondi nelle piccole storie di chi quella guerra, lontano dalle stanze del potere, la combatté davvero: contro un nemico invisibile ma presente; ma anche contro nemici più vicini e maledetti, come il freddo, la fame, i pidocchi, il fango putrido, la cancrena, la paura, mortali tanto quanto una granata o una pallottola nel buio, che in una frazione di secondo cancella una vita non ancora vissuta.
La voce di Perrotta è strumento sensibile che lavora di chiaroscuri, agendo ora sul significato ora sul suono in sé della singola parola e, nel contempo, di un incrocio di dialetti che si fa lingua nuova, aliena eppure viva, oltre che racconto e musica, monologo e dialogo. La posizione seduta, mantenuta per tutto lo spettacolo, acuisce la claustrofobia della vita di trincea e l’impossibilità di fuga da un destino imposto da altri. Solo la parte superiore del corpo si muove, in armonia o in contrasto con un narrato che si appoggia a tratti, ed efficacemente, a suoni e melodie che sembrano giungere da un’altra dimensione.
Dante di un inferno in terra, Perrotta è cantore di una storia tragica perché tragicamente vera. Pubblico ridotto, ma applausi scroscianti. Spettacolo assolutamente da non perdere.