Mario Perrotta

Messaggero Veneto

Odissea dall’altra parte La storia vista dal figlio privo del padre Si è messo in ghingheri Telemaco, per raccontare la sua odissea di figlio cresciuto senza padre: pantaloni grigi, camicia cilestrina con pizzi e merletti, giacchettina a righe di lamé e neri risvolti da smoking, un filo di biacca sul volto, due righe di rimmel […]

Odissea dall’altra parte

La storia vista dal figlio privo del padre

Si è messo in ghingheri Telemaco, per raccontare la sua odissea di figlio cresciuto senza padre: pantaloni grigi, camicia cilestrina con pizzi e merletti, giacchettina a righe di lamé e neri risvolti da smoking, un filo di biacca sul volto, due righe di rimmel sugli occhi e un pò di rossetto sulle labbra, da cantastorie, o da sgangherato intrattenitore di un polveroso varietà. Poco importa se il mare che gli tiene lontano il padre non è quello di Itaca, ma quello quasi di fronte al Salento, e a narragli le storie avventurose non è il cieco Omero ma il silenzioso Antonio che nutre e tiene buono il mare con le cozze, e Telemaco non è precisamente il giovanotto greco, ma un figlio del nostro sud oggi o di qualche anno fa, che come tanti il padre lo ha goduto poco o nulla.
La storia di solitudine e abbandono, l’ altra faccia di Odissea, quella che riflette e registra le sofferenze di un figlio senza padre, è in fondo la stessa, ed è quella che racconta Mario Perrotta nel suo ultimo spettacolo, Odissea, appunto, ispirato al poema antico e dal quale ha mutato alcuni episodi a dire la grandezza, l’ eroicità di un padre assente trasfigurato nei sogni di un bimbo. L’attaccamento del gigante Polifemo, la lotta con Scilla e Cariddi, le sirene incantatrici, la maga Circe… tutte storie da contrapporre, lui bambino, a chi gli rinfaccia di non avere un padre. Storie fascinose da esibire nei giochi con i compagni, o davanti alla gente che passando sotto casa addita con malignità le persiane chiuse della stanza di sua madre, Penelope donna Speranza. E’ un misto di rabbia e di dolore, di tracotanza e avvilimento quello che lo muove contro le chiacchiere della gente e i sorrisi maliziosi dei coetanei. Solo con il vecchio imperturbabile Antonio, in riva al mare, trova la pace per una speranza sempre disattesa e sempre più labile nel ritorno del genitore. Partito per la guerra e mai più tornato.
E’ quindi bello e terribile al tempo stesso immaginarlo vagabondare come l’eroe omerico per i mari, piuttosto che pensarlo in chissà quali altre più banali avventure, magari di povero emigrato o di semplice imboscato. E’ un racconto, quello di questo Telemaco salentino, che si consuma in un’alternanza di toni e ritmi che ne tradiscono le contraddittorie pulsioni interiori, le inesauste incerte battaglie tra speranza e disillusioni. Il modello antico serve allora a rispettare, pur nel dolore di un’ assenza ormai patologica, una condizione di inferiorità e di vuoto che nel racconto di Perrotta si fa narrazione epica, trama per una prova d’attore a trecento sessanta gradi: dal culto della tradizione popolare alla canzonetta da varietà. Modelli espressivi nei quali si consuma la consapevolezza sempre più amare e dolorosa di una ferita mai più rimarginabile e della quale chiede disperatamente conto al padre, con una sequela di “perché” senza risposta che cambiano tragicamente la prospettiva dell’essere Ulisse: non più molla alla conoscenza, ma grido di un cuore in piena che rivendica la sua giusta parte d’ amore.
E’ una bella serata quella che Perrotta, con la sua cangiante e vigorosa prova di accattivante e coinvolgente narra-attore, regala al pubblico, grazie anche al supporto musicale dal vivo, curato da Mario Arcari all’oboe e alle percussioni e da Maurizio Pellizzari alla chitarra, che, attingendo a sonorità e melodie della tradizione meridionale ma anche da quella colta (struggente la versione de La vergine degli angeli da la forza del destino di Verdi per il racconto di Polifemo), amplifica e valorizza gli snodi narrativi e le molteplici sfumature di una narrazione che è fiume in piena, mare in tempesta. Calorosi e meritati gli applausi del pubblico del Bon di Colugna, dove lo spettacolo è stato presentato nell’ambito delle stagioni dell’Ert.