Mario Perrotta

Il Gazzettino

Odissea del guascone salentino La fantasia dell’orfano Telemaco che si inventa un padre eroe Spesso frainteso come esponente dell’ultima ondata del teatro della narrazione, Mario Perrotta è in realtà attore a pieno titolo, che ama calarsi in personaggi definiti e adottare la mentalità, la parola e il punto di vista, come accadeva con il tenero […]

Odissea del guascone salentino

La fantasia dell’orfano Telemaco che si inventa un padre eroe

Spesso frainteso come esponente dell’ultima ondata del teatro della narrazione, Mario Perrotta è in realtà attore a pieno titolo, che ama calarsi in personaggi definiti e adottare la mentalità, la parola e il punto di vista, come accadeva con il tenero postino dell’ assolo sull’ emigrazione italiana in Belgio Italiani Cincalì. Doti di interprete versatili che ora, con maggiore evidenza, sono messe al servizio dell’ultimo lavoro, Odissea (visto al Teatro “Bon” di Colugna), come a marcare una continuità e insieme la svolta per nuovi percorsi.
Qui Perrotta, anche autore del testo, è un esuberante giovanotto del Sud, che compare in scena con il viso da clownpaisà imbiancato di biacca, la giacca da guappo di paese e un arsenale di gesti sbruffoni con cui provoca il pubblico, aggredisce chi capita a tiro, si esibisce anche in numeri da avanspettacolo, assecondato dalla bella musica dal vivo di Mario Arcari e Maurizio Pellizzari. Ma poi il fatto che abbia una madre, donna Speranza, sepolta in casa a fare e disfare la stessa tela, trovi momenti di verità solo davanti al mare, con il silenzio Antonio pulitore di cozze, e soprattutto si chiami Telemaco, come il figlio di Ulisse, svela che quella è solo la grottesca mascherata di un’anima da escluso, incrinato da sorde lacerazioni e infatti segnato dall’assenza e dalla nostalgia di un padre forse mai raggiungibile. E occorre arrivare al quadro finale, con Telemaco che sfuma lentamente sul fondo, schiena al pubblico, per cogliere la nuova atmosfera di questa prova nel nocciolo di un intimo dolore dell’esistere, lontano anni luce dalla denuncia indignata che a tratti lampeggia nei precedenti lavori.
Per il resto, questa Odissea soffre ancora di una eccessiva esteriorizzazione e di un intreccio drammaturgico non sempre motivato tra la realtà e il mito, lo spettacolo d’ambiente di un felice guascone salentino e la leggenda omerica, serbatoio di episodi su cui il figlio “orfano” ricama di fantasia e si inventa a distanza e per compensazione un padre eroe, da sbattere in faccia ai coetanei di famiglia più fortunata. E dunque ancora qualche calibratura nei toni e un maggiore controllo della generosità recitative e può venirne fuori un ritratto umano di tragicomica solitudine, metafora, anche, della condizione di “perdita” che tutti prima o poi ci accomuna, e non solo davanti al Mediterraneo.