Dalla parte di chi attende. Con gli occhi di Telemaco il racconto omerico di Mario Perrotta
Nell’Odissea di Mario Perrotta siamo fermi, in una terra di fronte al mare. I viaggi dell’eroe assente vengono raccontati da un vecchio pescatore dall’aura di mago, di quelli che sanno ascoltare la voce delle onde, che guardano l’orizzonte e sanno come placare le tempeste. Si chiama Antonio delle cozze; a lui ricorre, in segreto, il protagonista per avere notizie del padre perso in viaggi e avventure per terre lontane. Questa volta Mario Perrotta non racconta una storia di lavoro, sfruttamento e morte come in Italiani cìncali, o di emigrazione e ritorno come ne La turnàta. Si concentra sui sentimenti ambivalenti di un figlio nei confronti di un padre che attraversa ramingo il mondo e i suoi disastri. Accende il fuoco sulla nostalgia, sul desiderio di quella figura assente, sull’ammirazione per il grande eroe e poi sulla delusione perchè non sa ritrovare la strada di casa. Spettacolo forse più difficile, più intimo dei precedenti, accompagnato come quelli dalla musica, tutto giocato sulla capacità di narratore, ma soprattutto di attore che non mette in scena se stesso, ma che si analizza, si sogna, si guarda attraverso un personaggio. Il nostro Telemaco del Salento vive in un paesino. E l’assenza, la lontananza di Ulisse È oggetto di maldicenze e dileggi, nell’ambiente pettegolo. Per questo lui gioca a provocare: si veste con una luccicante giacca pop, si bistra gli occhi come quel Renato Zero o quel David Bowie che tanto scandalo suscitarono. Un Renato Zero di periferia. E qualche volta la storia del padre la racconta con l’acido ritmo provocante del varietà, tra un rullo di tamburo e un couplet di rabbia, contro quelli che criticano la madre, chiamandola Donna Speranza. Lui lo ammira quel padre, ora, lo difende, ricorda che non voleva andare a farla quella guerra, che fece il pazzo per non partire e indossò la divisa solo quando davanti all’aratro con cui arava la spiaggia posero lui, il nostro Telemaco, appena un infante. L’attore questa volta non si limita a esser simpatico: ferito cerca di ferire. E poi, ancora, torna sul mare, a spiare, ad ascoltare Antonio delle cozze che gli racconta le altre avventure, la lotta contro un ciclope che forse commercia in organi umani, le mille sirene, i molti venti. Con il dubbio che non siano altro che favole, scuse, sempre più forte, sempre più certo, fino a quella scena con Circe, una discoteca, le donne in vendita e gli uomini che si trasformano – qualcuno dice per magia, qualcuno non ci crede – in maiali. E allora lo capisce, finalmente: non ha bisogno di un padre che non riesce a trovare la forza, la voglia, di riprendere la strada di casa, per incontralo. L’ha difeso, nelle liti con gli amici, dai paesani, forse dalla stessa madre. Ora lo odia. Quel genitore che forse una notte È passato sotto la finestra di casa ed è andato via, a scrivere il nome della madre, speranza, sull’acqua. Questa Odissea, cullata, esaltata, ringhiata, È nata a poco a poco, attraverso studi, che hanno precisato man mano la materia, la hanno asciugata portando l’attore a semplificare gli episodi del poema di Omero, a sfumare i riferimenti all’attualità, ad andare più dentro nell’osservazione del personaggio, della sua intimità. Dopo una prima versione letta al leggio, con le musiche dei Tètes de Bois, presentata al Festival Bella Ciao di Ascanio Celestini, al debutto all’Itc di San Lazzaro di Savena, vicino a Bologna è diventata una vera e propria azione teatrale, incentrata sulle grandi capacità affabulatorie, istrioniche di Perrotta. L’attore qui si dimostra più che mai interprete di contrasti e sfumature, accompagnato dalle musiche di Mario Arcari, eseguite con Maurizio Pellizzari, atmosfere che sospendono, completano, contrastano il racconto. Ci trasporta, con le immagini create dalle parole, lungo le strade del viaggio del padre e nei sentieri più bui di quell’altro parallelo percorso interiore del protagonista, che dovrà raggiungere la consapevolezza che il padre forse è morto per lui, e il dolore si può colmare solo trovando se stessi. Magari di fronte al mare.