Versoterra. Diari dal Mediterraneo
[…] Nella caletta di Acquaviva lo sguardo non sa dove posarsi. È vero c’è un palco, ma riesce difficile concentrarsi su quella piccola piattaforma sospesa sull’acqua a pochi passi dalla riva, quando tutto intorno le rocce, il mare e la notte salentina fanno del panorama una scenografia assordante, magnetica, irresistibile. Sulla costa poi c’è il pubblico, dove dicono ci sia, immersa tra le persone, anche Lireta Katiaj, venuta a sentire una storia che conosce bene: quella della sua vita-migrante, che, dopo essere stata diario finalista del Premio Pieve 2012, è diventata da poco libro (Lireta non cede, Milano, Terre di mezzo, 2016) e, questa sera, spettacolo. Chissà come dev’essere strano per lei guardarsi dal di fuori e vedere l’immagine di sé prendere il volo, trasfigurarsi in simbolo, in narrazione pubblica e universale. Già perché se è vero che la fuga dall’Albania, la giovinezza difficile, gli incontri infelici, l’educazione sentimentale travagliata e l’essere madre orgogliosa, appartengono al suo vissuto di donna irriducibile, rappresentano anche elementi-matrice comuni a molte altre esistenze. Tant’è che, mentre leggeva il suo diario, Mario Perrotta racconta di aver subito pensato al mito di Medea. Ha scelto quindi di tenersi dietro le quinte e affidare la narrazione-monologo alle cure di Paola Roscioli, perché, sostiene, doveva essere per forza una donna a farsi tramite col pubblico, a restituire la testimonianza di Lireta col “suo stesso fuoco nello sguardo e lo stesso dolore antico”.
L’impianto narrativo si spacca così in due dimensioni separate che corrispondono anche ai luoghi geografici del racconto. Da una parte c’è la donna-mito che canta le sue gesta in Albania, affidando il ritmo della narrazione ai recitativi brechtiani e alla musica dal vivo; poi, dopo la cesura del viaggio in gommone verso le coste pugliesi, ecco sopraggiungere insieme all’Italia una Lireta resa più umana dal suo amore di madre e un’esposizione più piana e classica. La grandiosità del paesaggio mette però a dura prova questo secondo segmento: difficile entrare davvero in intimità con l’attrice di fronte a quella natura che la sovrasta, sigillandola in una condizione lontana anche dall’empatia. Impossibile in un simile contesto non vedere nell’interpretazione della Roscioli la rappresentazione di un exemplum, il tributo alla forza morale di una donna super homines.
Eppure, mentre si risale la strada per tornare agli autobus e ci si scambiano le prime impressioni, ci si accorge, al netto di qualsiasi giudizio, di un desiderio fortissimo, quasi un bisogno: è la voglia di conoscere quella donna, di vederne il volto e sapere i dettagli taciuti della sua storia. E sta qui, nella capacità straordinaria di generare solidarietà e vicinanza tra gli uomini anche al di fuori del palcoscenico la potenza del progetto di Perrotta. La restituzione scenica si fa non solo testimonianza artistica ma piena azione politica e civile, che è sì edificante ma nel senso migliore del termine: costruisce sullo spettatore le fondamenta del suo essere uomo.