E i migranti offrono un caffé
[…] Ci porta dal tramonto alla sera. Dallo Jonio (vedevamo la punta da cui s’affaccia Gallipoli) all’Adriatico. Tra le otto e le nove, da Nardò a Marittima di Diso/Acquaviva, a sud di Otranto. Dopo essere usciti dal pullman, saremmo discesi ancora un poco, a piedi, su un terreno accidentato. Faceva freddo. In fondo, c’era una visione schizzata fuori da un film di Edoardo Winspeare: una piccola insenatura, le rocce ai lati, una luce forte in alto, luci più deboli ai lati. Issato sull’acqua, un palcoscenico. Vi accedeva Paola Roscioli, interprete di Lireta – a chi viene dal mare: un racconto di Lireta Katiaj, nato dalle storie che si raccolgono a Pieve Santo Stefano e che nella sostanza è una storia di tutti i giorni. Lei, Lireta, aveva lasciato con ardore e con rammarico l’Albania (Valona è a settanta chilometri), c’era un tiranno, aveva un padre dispotico, il tiranno era caduto, aveva avuto un amore, poi un altro, infine quello vero, per Salvatore (da tempo aveva realizzato il sogno dell’Italia, le donne come lei hanno tutte un rimpianto e un sogno). In Sicilia Salvatore l’aveva amata per come era, con il figlio di una vecchia passione, un’illusione, un fraintendimento. L’indomita Roscioli aveva raccontato la sua vecchia storia – come quelle che vedemmo, a proposito di Amelio, nel suo Lamerica – con aperta gestualità e con passione – ma ormai distaccata, come fosse in musica, come se l’accompagnassero le note ironiche e sbrigative di Kurt Weill.