Versoterra. Il progetto di Mario Perrotta in Salento dedicato a chi viene dal mare
[…] Di nuovo sulla costa adriatica, la sera, per la terza parte del progetto, la prima assoluta di Lireta – a chi viene dal mare. Di nuovo un luogo di grande bellezza: Acquaviva, Marittima di Diso. Il palco si allunga sull’acqua, si sentono le onde del mare, la battigia trasparente è illuminata dai fari. Di nuovo moltissimi spettatori, in gran parte coinvolti fin dal mattino nel doppio coast to coast teatrale. In scena Paola Roscioli cattura subito il pubblico con la sua presenza energica e schietta. Sa tirare le corde dell’emozione e non le lascia più, assecondando la grazia scontrosa del suo personaggio e riuscendo a creare un carattere sempre in equilibrio tra mitezza e baldanza.
Rispetto alle tappe precedenti, infatti, il progetto compie qui una focalizzazione stordente. Dopo le masse anonime di migranti, uno zoom su un singolo essere umano, una persona con il suo nome proprio, la sua identità, la sua storia. Lireta Katiaj è una donna albanese che oggi vive felicemente in Sicilia con il marito italiano e due figli, ma ha alle spalle un’infanzia durissima a Valona, fughe coraggiose (dal padre, dall’Albania, da un destino già segnato di sfruttamento), traversate rocambolesche, peripezie per mare e per terra. Quando ha finalmente trovato una serenità mai conosciuta prima e una lingua nuova – l’italiano – per fermare ricordi e pensieri, si è messa a scrivere la propria vita, e il manoscritto è finito in quel luogo prezioso di raccolta e custodia di biografie, testimonianze e storie “dal basso” che è l’archivio di Pieve di Santo Stefano, in provincia di Arezzo. Nel 2012 il diario di Lireta è arrivato finalista al Premio intitolato a Saverio Tutino, e oggi è anche un libro, edito da Terre di mezzo. Mario Perrotta ne ha ricavato una drammaturgia composta ed efficace, tagliata sulle misure di Paola Roscioli, che sbozza tutti i personaggi con voce malleabile. Dalle rocce della baia dialogano con lei un violoncello e una chitarra (Samuele Riva e Laura Francaviglia) e i passaggi di raccordo biografico e di contestualizzazione storica sono risolti intonando canzoni a mezzo tra Kurt Weil e Rosa Balistreri. Alle spalle dell’attrice, le alte rocce a picco sul mare che ricordano le coste dell’amata-odiata Albània, cui Lireta si rivolge di tanto in tanto con nostalgia e risentimento insieme, chiedendo riconoscimento, con una forza che si direbbe capace di smuovere le montagne: «Vieni vieni, guarda che non sono Maometto».
La vediamo vividamente quando cerca di difendere la madre e il fratellino più piccolo dalle violenze del padre ubriaco; quando risponde orgogliosa a tutte le domande del maestro; quando manda a monte il matrimonio che il padre aveva combinato per lei (e l’ascia che lui le scaglia contro per poco non le spacca in due la testa); quando per dispetto sceglie di andarsene con «un amico bastardo» e ascolta a tutto volume Sweet dreams are made of this degli Eurythmics, la colonna sonora, arrivata con anni di ritardo in Albania, delle loro corse notturne in macchina. La vediamo quando partorisce la prima figlia in un ospedale abbandonato, tra gli spari dei cecchini; quando rischia di finire nella tratta delle prostitute destinate all’Italia; quando, ancora lontana dalle coste pugliesi, viene scaraventata in acqua con la neonata da uno scafista; quando allatta sulla riva mentre si avvicinano le sirene della polizia.
Paola Roscioli ha una mimica vigorosa, trascorre con immediatezza dai toni beffardi a quelli propriamente drammatici, dall’ironia spavalda al più disarmato candore. Ma a colpire è soprattutto la capacità di mantenere con esattezza, fin dalle prime battute, una tensione trasversale alle diverse scene, una visione complessiva dell’azione teatrale, una consapevolezza della dialettica in campo tra piccola e grande storia, lì, su quel quadratino di palco in mezzo all’acqua, tale da innalzare la piccola vicenda narrata a biografia di una moltitudine. Lireta con lei diventa una figura universale, il suo diario la sineddoche di milioni di diari mai scritti.
E per una volta l’Italia, vista nei sogni di una donna albanese, l’Italia che ha saputo mostrare infine anche il suo volto migliore nell’accoglienza, sembra perfino un Paese civile. Un Paese assai diverso da quello che Mario Perrotta ha raccontato a puntate in tre mattine nel cortile del Castello di Carlo V, nel cuore di Lecce, riprendendo la trasmissione realizzata per Radiodue Rai Emigranti Esprèss. Con un altro ribaltamento di prospettiva, l’attore ha ripercorso il viaggio del treno Lecce-Stoccarda che partiva tutti i giorni verso le “Americhe” del nord Europa carico di migranti salentini. Tra loro, una volta al mese, anche il piccolo Mario, che risaliva da solo la Penisola per andare a trovare il padre a Bergamo e sottoporsi a delle visite di controllo. Attraverso i suoi occhi di bambino, una galleria di personaggi ed episodi divertenti e commoventi. E la conferma che i confini non esistono, ce li abbiamo solo noi nella testa.