Mario Perrotta

L’Unità

Teatro italiano: eppur si muove (e parla) DIAGNOSI Mannò che non è morto. Anzi, irriga il presente con un fiume di parole giusto per smascherarlo. Ha valenza politica e un nutrito drappello di interpreti Enia, Cosentino, Saponangelo, Palato: ecco nomi che presto troverete nei cartelloni… hanno voglia di raccontare l’Italia com’era e com’è tra nostalgia […]

Teatro italiano: eppur si muove (e parla)

DIAGNOSI Mannò che non è morto. Anzi, irriga il presente con un fiume di parole giusto per smascherarlo. Ha valenza politica e un nutrito drappello di interpreti Enia, Cosentino, Saponangelo, Palato: ecco nomi che presto troverete nei cartelloni… hanno voglia di raccontare l’Italia com’era e com’è tra nostalgia e disincanto Hanno la parlantina facile ma i contenuti impegnati, istrioni d’impatto, però se li osservi bene hanno una tecnica d’attore che fa paura: sono i nuovi nomi del teatro. Tratti distintivi: amore per il monologo di denuncia (diretta o indiretta) o di un teatro della memoria, «riflettori» sani di e su un paese malato, autori e attori, spesso tutte due. Li trovi sparsi tra gli off, trasversali nei calendari di stagione dei vari palcoscenici, pronti al balzo. Sì, perché vanno veloci i nipotini di Dario Fo, allievi svegli dei vari Baliani e Paolini: vedi Fausto Paravidino, nemmeno trentenne, che dopo un paio di pièce al vetriolo porta le anime morte del suo nord-est italiano sul grande schermo di Venezia (Texas). Non è il solo a traghettarsi con disinvoltura dalla scena al set, perché anche questo non è più un tabù: teatro e cinema si scambiano le parti, gli attori del primo si fanno notare al grande pubblico, i protagonisti del secondo cercano di misurare le loro capacità dal vivo. L’arte dell’attore/autore del nuovo millennio è camaleontica, duttile, ipereccitata. Uno come Mattia Torre si fa notare come autore di fiction tv, sceneggiature di film (Piovono mucche di Luca Vendruscolo) e poi fa il botto a teatro con In Mezzo al Mare del 2004, monologo stralunato di un signor Rossi qualunque, travolto da eventi banali che, sommati, portano alla tragedia (interprete un altro nome da segnarsi: Valerio Aprea), e bissa quest’anno con Migliore, altro monologo cattivo che ha la grinta di Valerio Mastandrea (torna in scena a gran richiesta da martedì al romano Ambra Jovinelli). Ascanio Celestini l’affabulatore gira per palchi con la sua sedia e la lampadina, ma trova anche il tempo di scrivere libri e dirigere festival. Tratti comuni: hanno voglia di comunicare, il loro non è un teatro esoterico ma aperto a tutti, semmai con qualche vezzo d’attore. Un Fausto Russo Alesi o una Giuliana Musso sono capaci di virarsi in due battute in più personaggi, Alesi è persino arrivato a «doppiare» con efficacia Gaber il «Grigio». Matteo Belli è in grado di rappresentarti il Medioevo a quattro dimensioni o trasformare l’Eneide in concerto, una vera polveriera di talento fonico e mimetico. Hanno voglia di raccontare l’Italia, com’ era com’è. Tra nostalgia e disincanto, memoria e denuncia. Ulderico Pesce s’ingegna a scovare in un piccolo museo polveroso di Roma il teschio di Passannante, un anarchico torturato e imprigionato in epoca regia, e ne fa una storia-simbolo di battaglie civili. Poi si fa promotore di una pièce lacerante e vera sulle scorie nucleari che inquinano il Sud, e oggi racconta i 21 giorni di lotta degli operai della Fiat di Melfi, vincendo il Premio Riccione Teatro «Marisa Fabbri» 2005. Il talento di Mario Perrotta arriva a maturazione con le storie degli emigranti italiani, Sara Bertelà riflette in Petronilla Graie le altre facce della migrazione: quelle dei nuovi «intoccabili», delle ragazze dell’est che finiscono a gambe larghe sulla strada o spariscono tra i flutti, buttate a mare dagli scafisti. Il lunare Andrea Cosentino ti spalanca un paio d’occhi scuri e sgranati in faccia e poi ti disegna sberleffi d’ironia sulle «apparenze» contemporanee e i tipi psicologici metropolitani che incontriamo sotto casa. Altre volte, hanno voglia di toccarti l’anima con racconti che prendono il volo da cronache reali e ti portano lontano: come le iperboli calcistiche di Davide Enia, una passione trasformata in poesia, come la Tribù di Duccio Camerini, affresco d’Italia in quattro generazioni con Crescenza Guarnieri che è un po’ l’antenata di tutti noi, il sogno fantasma dei nonni e del paese che avevano immaginato e che non è diventato. O il Mondo Secondo scritto su misura per Chiara Noschese, altra mattatrice delle nuove scene, dove incalzano la duttile morbidezza di Teresa Saponangelo o la dolente bravura di Maria Paiato. Narratrici di racconti che premono sul cuore, solleticano la memoria, stuzzicano il cervello. Teatro d’emozioni e riflessioni, quello che quando esci non sei più lo stesso. Segnatevi i nomi sulla vostra agenda. Li risentirete.