Mario Perrotta

La Stampa

Perrotta, quando eravamo Largo ai monologhi. Il talento di molti performers, alcuni nuovi altri meno, che si cimentano in questo tipo di affabulazione, è incoraggiato dai tagli alle sovvenzioni per il teatro: sempre più arduo sembra allestire spettacoli con qualche pretesa di scene e costumi, per non parlare dei comprimari. Un capocomico mi diceva, già […]

Perrotta, quando eravamo

Largo ai monologhi. Il talento di molti performers, alcuni nuovi altri meno, che si cimentano in questo tipo di affabulazione, è incoraggiato dai tagli alle sovvenzioni per il teatro: sempre più arduo sembra allestire spettacoli con qualche pretesa di scene e costumi, per non parlare dei comprimari. Un capocomico mi diceva, già diversi anni fa: “Trovami un monologo! Da solo, anche se riempio il teatro al 30%, ci faccio sempre un affare!” Be’, Mario Perrotta non ha ancora un nome tale da riempire neanche il trenta per cento di un locale di prima grandezza, ma i cinquanta posti della sala Gassman all’Orologio di Roma, sì: e qui non ha bisogno di altro che di una sedia, un po’ di illuminazione, e un nastro con qualche canzone d’epoca. Il testo che presenta e che ha scritto con Nicola Bonazzi si intitola La turnàta, seconda parte ideale di un progetto sui nostri emigranti intitolato Italiani cìncali! (ossia zingari, è un insulto razzista). La prima parte, che debuttò nel 2003, era dedicata ai minatori nel Belgio; questa, ai lavoratori stagionali in Svizzera, e fa da filo conduttore, donde il titolo, il racconto fiabesco del ritorno definitivo in patria, in automobile, alla fine degli Anni Sessanta, di una famiglia pugliese che avendo raggranellato lassù qualche soldo ha deciso di affrancarsi. Nel veicolo diretto da Zurigo a Lecce – 1400 chilometri! – sono, oltre a Nino che ha nove anni e che rievoca, il padre di Nino, la mamma di Nino, un operaio sindacalista amico del padre, e il nonno di Nino. Tre di loro sono in posizione irregolare, Nino stesso e sua madre, perché gli operai non possono per legge farsi raggiungere dalla famiglia – e Nino ha pertanto passato anni dell’infanzia sempre nascosto, sbirciando da lontano i coetanei svizzeri che andavano a scuola – e il nonno di Nino, perché è morto: volendo seppellirlo al paese, i suoi lo hanno vestito e messo sul sedile come un dormiente. Benché il tragitto sia molto lungo, ai nostri non capitano troppe avventure, tranne un paio di incontri con poliziotti sprezzanti ma distratti, così il narratore integra la storia mediante episodi collaterali, un po’ di marxismo spiegato al fanciullo dal sindacalista, e informazioni agghiaccianti sulle condizioni imposte ai lavoratori stranieri dai governi svizzeri con la acquiescenza di quelli nostrani. L’accento dialettale e qualche termine saporito rendono vivace il dettato, e il giovane Perrotta possiede personalità, comunicativa, simpatia, aspetto attraente, e anche voce, qui valorizzata dalla ormai rara ma pur sempre benvenuta assenza dell’amplificazione. Un’ora e venti circa, fino al 9 ottobre.