Perrotta, a solo da favola sull’Italia degli emigranti
A tratti sembra un viaggio in macchina per le strade italiane con lo spirito naïf che quasi 50 anni fa ispirò un bel racconto a Gina Lagorio, ma in realtà La Turnàta di Nicola Bonazzi e del monologante Mario Perrotta (conclusivo capitolo del progetto Italiani Cìncali! sulla nostra emigrazione) è un epopea umile e avventurosa di poveri cristi su un’Alfa Romeo da Zurigo a Lecce per ininterrotti 1.400 chilometri, un raid che nel 1969 ritrae un definitivo ritorno in patria (“turnàta”) di un nucleo non in regola. Lo spettacolo affabulato dal sempre più bravo, fluido ed espansivo Perrotta con grottesco senso della tragedia per il glaciale razzismo inflitto all’estero ai nostri connazionali, con romanzesca serenità da escluso, e qua e là con bastarda ma efficace versione di un a spasso con Dickens applicato al calvario d’un operaio reduce, è uno spettacolo sulla fantasia degli uomini terroni mentre altri uomini, quell’anno, sbarcano sulla luna. L’abbandono della Svizzera è motivato dalla voglia di seppellire da noi (senza spendere) un nonno morto che in macchina deve sembrare dormiente, e, oltre a una moglie e a un sindacalista, tra i passeggeri c’è, altro rischio fino al confine con l’Italia, un bambino di nove anni tenuto fin’allora murato in casa per il divieto di far famiglia imposto ai lavoratori all’estero. Opportunamente nato al Festival Bella Ciao di Celestini, questo a solo documentativo e umano rafforza, grazie a Perrotta, una missione del teatro a pensare bene. Con gradevolezza e idealizzazione del mondo degli sconosciuti.