Perrotta – Ritorno a casa col nonno morto
Sarà veramente un balsamo la memoria, come dichiara il sottotitolo del festival Bella ciao, organizzato da Ascanio Celestini a Cinecittà, laddove la periferia di Roma inizia a mescolarsi con la campagna? Non è forse piuttosto tormento, ferita, magari rimarginata ma ben incisa, rimozione o edulcorazione? Il dubbio viene, specie davanti agli spettacoli più belli, più incisivi, del “teatro di narrazione”. Si ripercorrono tempi di miseria, di dolore, con una felicità del raccontare che cattura, che crea quasi un mondo a sé, illusorio. Tocca allo spettatore non lasciarsi sedurre dagli inganni del narratore e trasformare i balsami in umori urticanti; tocca a chi ascolta rifiutare le lusinghe e costruire realtà. La turnàta è la seconda parte di Italiani cìncali!, un progetto sull’emigrazione che il salentino Mario Perrotta, in collaborazione con Nicola Bonazzi, sta sviluppando a Bologna da alcuni anni. Da interviste fatte nella sua terra ha già tratto un bellissimo racconto sulle durezze dell’emigrazione in Belgio. Ora tratta di un altro “paradiso” promesso agli italiani che negli anni Cinquanta e Sessanta fuggivano dalla miseria: la Svizzera. Ma racconta soprattutto il ritorno, un lungo viaggio da Zurigo a Lecce come una meravigliosa avventura di liberazione vissuta dagli occhi ingenui di un ragazzino. Nello stesso giorno e anno della discesa dell’uomo sulla luna, muore il nonno del protagonista. Il nipotino lo vedrà come una lucina che sbarca insieme agli astronauti sul satellite, mentre tutta la famiglia si mette in viaggio per tornare a seppellire il vecchio al paese. Per non pagare le eccessive tasse svizzere, il morto viaggerà seduto, come se fosse addormentato, con il berretto sugli occhi. Ma il viaggio è anche un’evasione dalla clandestinità: il bambino era arrivato a quattro anni, a metà degli anni Sessanta, come clandestino, perché la Svizzera non accettava lavoratori stranieri stabili, solo stagionali, e men che meno le loro famiglie. Perrotta racconta un’infanzia reclusa in casa, senza scuola, senza corse, la situazione di migliaia di figli di immigrati, e poi quell’evasione affianco al corpo freddo, con il passaggio della frontiera chiuso nel baule, con gli strani discorsi dei grandi, sul comunismo, sul paese, sugli svizzeri ostili, fino agli ulivi del nonno, al mare, al sole… Perrotta è bravissimo a catturare lo spettatore, a creare piccoli mondi da dettagli, ad aprire pensieri brucianti, a contestualizzare la materia sentimentale con dati, a insinuare collegamenti con altre clandestinità contemporanee. Non predica mai; ci porta per mano nella pena della vita con i balsami dell’infanzia e del racconto, che sembrerebbe tutto trasfigurare, anche il dolore, l’esclusione, l’ingiustizia.