Mario Perrotta

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La turnata Dopo il fortunato Italiani Cìncali!, Mario Perrotta, con Nicola Bonazzi, torna a pescare storie di miseria e dignità nell’Odissea infinita dei nostri emigranti. Ricavandone anche sardoniche stilettate ai potenti di turno. Ma il rischio di un «eccesso di ricordo» è dietro l’angolo. Mario Perrotta dovrebbe farlo in Parlamento, il suo spettacolo dedicato all’emigrazione […]

La turnata

Dopo il fortunato Italiani Cìncali!, Mario Perrotta, con Nicola Bonazzi, torna a pescare storie di miseria e dignità nell’Odissea infinita dei nostri emigranti. Ricavandone anche sardoniche stilettate ai potenti di turno. Ma il rischio di un «eccesso di ricordo» è dietro l’angolo.

Mario Perrotta dovrebbe farlo in Parlamento, il suo spettacolo dedicato all’emigrazione italiana in Svizzera. Il lavoro si intitola La turnàta, ed è una ideale seconda parte di Italiani Cìncali!, spettacolo con cui il giovane narratore ha già girato mezza Italia, riscuotendo ovunque consensi. Ma chi, come chi scrive, non ha ancora visto la prima parte, si tranquillizzi: La turnàta, ci assicurano gli autori, è lavoro autonomo ed indipendente, legato solo dall’afflato investigativo, quello cioè di ripercorrere la memoria di storie che sembrano lontanissime nel tempo, ed invece sono accadute nemmeno quaranta anni fa.
Gli italiani, in Svizzera, erano tanti: 700 mila emigrati, come stagionali, nel 1969. E c’erano anche oltre 300 mila bambini, clandestini, nascosti, privati di ogni vita possibile, tenuti segregati in minuscole case di 20 metri quadrati perché – in base agli accordi italo-svizzeri – lo «stagionale» non poteva portare con sé né moglie né figli. Ma da «stagionale» si poteva passare la vita, e le famiglie, com’è naturale, si ricongiungevano, a costo di nascondere i bambini negli armadi. Ed è proprio il racconto di uno di questi bambini, Nino, a far da traccia all’intera vicenda, alla storia di povertà, lavoro, amore, lotta politica, vita e morte che è La turnàta. Turnata vuol dire «ritorno» in dialetto pugliese: il ritorno di chi non riparte più, di chi si ferma a casa. Lo spettacolo, allora, è il racconto del lungo viaggio verso casa, verso gli ulivi e il mare, per trasportare il corpo esanime del nonno, il capostipite, il primo ad essere emigrato nel 1955: si torna in Puglia, sull’Alfa Romeo, per seppellirlo. Ma è, ovviamente, viaggio clandestino, fatto di sotterfugi e tensioni: ma anche viaggio iniziatico per il piccolo Nino, di nove anni, che scopre, piano piano, il mondo. Il razzismo degli svizzeri, l’indifferenza del governo italiano, lo sbarco sulla Luna, i sogni della lotta operaia, il sindacato, il calcio, le paure e l’affetto…
Visto al Festival Bella Ciao, diretto da Ascanio Celestini, lo spettacolo non poteva non avere come unico elemento scenico l’ormai ovvia «sedia da narratore» (ma qualcuno, prima o poi, darà fuoco a quella sedia?): e, lì seduto, Mario Perrotta catalizza l’attenzione del pubblico con verve. Gioca bene i suoi elementi, modula la voce per caratterizzare i personaggi, sfrutta gli stacchi musicali per imprimere ritmo alla narrazione, accenna qualche gesto con la mano. Il racconto, così, vivace e a tratti originale, affascina e diverte, e, soprattutto, in una lunga digressione, snocciola una serie impressionante di dati, cifre, fatti sulla pagina sempre più rimossa dell’emigrazione italiana.
Per questo, allora, dovrebbe andare in Parlamento: perché gli estensori della legge sull’immigrazione – detta «Bossi-Fini» dai nomi dei firmatari principali – potrebbero capire meglio cos’è (e cosa è stata) l’emigrazione, perché certi nobili Lumbard potrebbero ricordare le origini popolari delle proprie ricchezze, perché forse la memoria di ciò che siamo stati potrebbe aiutare a capire meglio ciò che siamo. E persino il Presidente del Consiglio avrebbe forse un’occasione in più per approfondire meglio la differenza tra capitalismo e comunismo, visto che Perrotta la spiega (con ironia) usando una sublime e surreale metafora calcistica (Marx, Engels e il Maresciallo Tito, campioni della «squadra comunista»…). Qualcuno, però, con sottigliezza, faceva notare, a fine spettacolo, che il più felice di tutti sarebbe il Ministro per gli Italiani nel mondo, Mirko Tremaglia: a lui La turnàta potrebbe dare ottimi argomenti.
Scritto con Nicola Bonazzi, il lavoro di Perrotta è, così, l’ennesima conferma di un genere teatrale tutto italiano – fatto con generosità e passione – di indiscutibile pregnanza, ma che cova in sé, da qualche tempo, i germi della propria contraddizione: di eccesso di memoria si può anche soffrire… Ma la buona fede, e l’appassionato entusiasmo dei due autori dello spettacolo mettono in fuga ogni dubbio: e la sincera adesione del pubblico ne è immediata conferma.