A teatro il dolore degli emigranti italiani
A Roma la seconda parte del progetto Italiani Cìncali! del Teatro dell’Argine: ne La Turnàta i problemi di un giovane emigrato in Svizzera
Mentre assistiamo allo psicodramma collettivo che accompagna l’immigrazione straniera è giusto riandare a quando noi italiani eravamo immigrati in altri mondi. Tanto per conoscere un dramma autentico, a lungo rimosso dalla nostra storia nazionale e ultimamente recuperato dalla letteratura. Buono e giusto è quanto va operando fin dal 2002 la Compagnia del Teatro dell’Argine con un Progetto che approfondisce, all’interno di questa epica mobilità umana, il capitolo dell’emigrazione italiana in Europa. Diversa dall’esodo di massa verso altri continenti cominciato a fine Ottocento e proseguito in varie ondate. La scelta dell’oltreoceano era il distacco definitivo dal proprio paese; espatriando verso l’Europa i nostri emigrati portavano con sé l’idea di farvi ritorno non appena raggranellato il sufficiente per una vita dignitosa. Per questo nell’estero europeo li chiamavano “italiani cìncali”, per i più corruzione linguistica di “zingari”, in perpetuo movimento. Così titola la Compagnia dell’Argine la sua indagine teatralizzata su questo fenomeno, elaborata da Nicola Bonazzi con Mario Perrotta, che ne è regista e recitante sulla scena, in questi giorni a Roma, al Teatro dell’Orologio. Una prima puntata del progetto Italiani Cìncali, due anni fa, riguardava i nostri connazionali emigrati in Belgio per lavorare (e per molti morire) nelle miniere: fu toccante documento, basato su lettere e racconti orali, di una diaspora disperata, dall’ottica di un postino del leccese. In La Turnata ovvero Italiani Cìncali – parte seconda, ora Perrotta sposta l’obbiettivo sulla Svizzera e si immedesima in un ragazzo, Nino, che vive e soffre la condizione dell’emigrante di terza generazione. Nato in terra elvetica, deve restar chiuso fra quattro mura, invisibile a chiunque, scoprendone l’esistenza come clandestino, possa denunciare i genitori per la violazione della legge che tutela l’identità svizzera, e far perder loro, lavoratori stagionali, il permesso di soggiorno. Anche la morte del nonno, immigrante capostipite, va occultata. Ed ecco il travaglio finale dell’avventura: il rientro, la “turnata” in Italia, con il morto in auto finto addormentato. Il racconto-monologo, intarsiato di accenti dialettali, ha una fluida potenza evocativa, da “centista” classico. Ma non è favola, è realtà bruciante di ingiustizie anni 50/70. Che faceva allora l’Italia?, si chiede Perrotta. Il pubblico di oggi applaude, arrabbiato e commosso.