Mario Perrotta

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Mario Perrotta, magico cantastorie – Sulle orme degli emigranti italiani nel dopoguerra Sono tornati al teatro dell’Orologio di Roma gli artisti della compagnia bolognese Teatro dell’Argine con La Turnàta – Italiani Cìncali, secondo e ultimo spettacolo di un progetto sull’emigrazione italiana del secondo dopoguerra, in modo particolare su quella diretta verso l’Europa del nord. L’anno […]

Mario Perrotta, magico cantastorie – Sulle orme degli emigranti italiani nel dopoguerra

Sono tornati al teatro dell’Orologio di Roma gli artisti della compagnia bolognese Teatro dell’Argine con La TurnàtaItaliani Cìncali, secondo e ultimo spettacolo di un progetto sull’emigrazione italiana del secondo dopoguerra, in modo particolare su quella diretta verso l’Europa del nord. L’anno scorso si erano visti con Tiergartenstrasse 4 Un giardino per Ofelia, allestimento molto ben fatto che traeva spunto dall’Aktion 4, denominazione della fase di eliminazione dei disabili mentali per la realizzazione del progetto hitleriano di creazione di una razza ariana. Quindi il gruppo emiliano sente disposizione per un teatro dalla duplice caratteristica di impegno e memoria: una configurazione adatta al monologo, il quale ha il pregio di stabilire con lo spettatore una relazione molto diretta, efficace quando si tratta di una denuncia, denuncia d’una realtà, d’una situazione presente oppure d’una verità storica. Procedimento abitualmente operato dai Marco Baliani, Marco Paolini, Ascanio Celestini, che sono i migliori nel genere. Ciò che caratterizza l’attore in scena, Mario Perrotta, anche autore de La Turnàta assieme a Nicola Bonazzi, è la semplicità. Recita senza ammiccare alla moda del cosiddetto “teatro di narrazione”, fastidiosa e impropria denominazione d’una categoria inesistente alla quale si sono iscritti in tanti (Fausto Russo Alesi o Davide Enia, ce n’è un’inflazione). Utilizza invece senza inopportune superbie le tradizionali tecniche del mestiere, voce ben impostata e calibrata, gestualità essenziale e descrittiva, mimica adeguatamente allenata e un generale saper stare in scena, un agio nel rapporto con il pubblico. A questo punto, siccome c’è l’attore, c’è anche la narrazione. Si racconta degli italiani che emigravano in Svizzera e che erano costretti a nascondere i loro bambini, murarli in casa, perché la Confederazione proibiva l’ingresso dei figli di lavoratori stranieri. Si impara che in dialetto pugliese corre una bella differenza tra la “enùta” e la “turnàta”, perché la prima era solo tornare a casa e ripartire subito per il nord, giusto il tempo di guardarsi intorno, fare un giro per il paesello magari con la macchina. Una macchina nuova sennò che s’era andati a fare lassù? La “turnàta” invece era per sempre, il definitivo rientro a casa, l’emigrante ce l’aveva fatta, finita la vita all’estero e conquistata l’agiatezza. Tante eran le “enùte” negli anni Sessanta, pochissime le “turnàte”. Questo racconta Perrotta, perché noi italiani adesso siamo diventati il Nord di altri Sud.