Una Storia che commuove, “Minatori in Belgio” coinvolgente monologo di Perrotta
Udine. Ecco l’ultimo arrivato della schiera sempre più numerosa di teatranti narratori, tanto quello del teatro di narrazione sembra essere oggi una delle poche se non la sola autentica novità della scena teatrale nazionale. Teatro di narrazione uguale teatro civile, nel senso che questo genere di teatro si fa carico di raccontare, per ricordare per non dimenticare il passato e forse capire meglio il presente, pagine e storie dell’Italia di oggi e di ieri, spesso storie piccole, famigliari, di un paese, di un tempo ben preciso. Altre volte sono invece i grandi giochi della politica o dell’economia a entrare di prepotenza nel gioco della narrazione per farsi affresco di una società e di un’epoca. È stato così, tanto per ricordare i più recenti passati sulla scena di casa nostra, con il monologo di Laura Curino sulla sua infanzia in quel di Valenza Po, città dell’oro e per Parlamento chimico di Marco Paolini, drammatica ricostruzione di una storia industriale tutta italiana, di ingiustizia e di traffici sporchi di finanzieri e politici. L’ultimo arrivato, dunque. Si chiama Mario Perrotta e viene dal sud e ha scritto con Nicola Bonazzi Italiani Cìncali – Minatori in Belgio, l’altra sera all’Auditorium Zanon di Udine per la Rassegna Akropolis diretta da Angela Felice per il teatro Club. Perrotta, dopo un lavoro di ricerca durato un anno a girare paesi e archivi, ha imbastito la storia di un paese del nostro meridione, un paese di emigranti minatori in Belgio, all’indomani della fine della seconda guerra mondiale. Minatori come merce di scambio con il carbone che il Belgio garantiva al nostro Paese per la ricostruzione a fronte di trentamila braccia di cafoni e contadini senza terra da sfruttare in fondo alle miniere di Charleroi o Marcinelle. Una storia con la esse minuscola, quella che vede il postino Pinuccio, l’unico maschio rimasto in paese e unico in grado di leggere, inventare il contenuto di lettere che invece dicono la fatica, la disperazione, lo sfruttamento, la desolazione di una condizione umana: il suo, infatti, è a poco a poco il ruolo del consolatore. Consolatore delle donne rimaste sole, consolatore nello spirito e nella carne. E mentre Pinuccio, solo in scena, seduto su una sedia in maglia di lana felpata, snocciola personaggi e avvenimenti di un piccolo paese strozzato nella miseria e nell’aridità di una terra che non produce, una terra abbandonata perché di un ricco proprietario, fuori campo si sentono le testimonianze di chi quella terra ha dovuto lasciare incantato dal miraggio di una vita migliore. Il risultato è di grande coinvolgimento, anche perché, con estrema facilità e una notevole sapienza drammaturgica che calibra il racconto in un delicato equilibrio tra pubblico e privato, tra soggettivo e oggettivo, il narratore passa dalla prima persona di Pinuccio alla terza del dato storico, sociologico e politico. Ne viene una serata di importante teatro civile, proprio in un momento in cui il problema dell’immigrazione – non siamo più noi a dovere cercare fortuna, oggi vengono da noi – ritorna con drammatica attualità ed urgenza. E non dimenticare quello che siamo stati, ci aiuta a capire meglio, di più e con più umanità chi oggi, novelli Cìncali (zingari in senso dispregiativo, così venivano chiamai fino a pochi decenni i nostri emigranti in Svizzera) rivive odissee che sono anche nel nostro patrimonio storico e culturale.
Lunghi e commossi gli applausi che hanno siglato la bella prova di Perrotta.