La lezione di Abi e il “cunto” di Perrotta
Due cose belle al festival, molto distanti tra loro.
Una nella sezione Asti Scritture, il cuore della kermesse, dedicato alla drammaturgia, che ha avuto il merito di portare in Italia Abi Morgan, nuova penna della scena della Gran Bretagna. Autrice in piena controtendenza rispetto alla ormai celebrata crudezza dei temi (l’emarginazione, la gioventù bruciata, la metropoli, la disoccupazione, la violenza) raccontati da letteratura, cinema e teatro made in UK.
Altri sono anche i temi della trentacinquenne di Cardiff-porto Gallese in pieno fermento culturale- che senza essere consolatoria-racconta una storia tenera di amicizia, dolore ed esistenza in secca che lega due amici. Anthony e Lucine, l’uno ossessionato dal metodo e dalla ragione, l’altro compulsivo: entrambe in difesa, arroccati e ossessionati dal suicidio della ragazza che amavano.
Tirry Dinamite racconta l’incontro con Madeleina, una ragazza che forse li salverà.
Molto merito va alla messa in scena e agli attori diretti da Vicky Featherston per la Frantic Assembly, già acclamati tre anni fa al Fringe di Edimburgo. Il dialogo serrato dei protagonisti si sposa a una essenzialità felicissima delle soluzioni sceniche, della musica e delle luci. E, là dove non arrivano le parole, a una distanza di corpi, attrazione, seduzione, rifugio, tenerezza.
Teatro del racconto e della memoria invece quello di Mario Perrotta, salutato da molti applausi nella notte del Cortile del Collegio, spazio di tarda ora che propone spettacoli ad ingresso libero.
Il suo Italiani Cìncali! Accende una luce su un passato che ancora brucia: quello dei minatori in Belgio.
Perrotta alla fine di una lunga ricerca di documenti e testimonianze condotta con Nicola Bonazzi per il Teatro dell’Argine di Bologna, trova un bell’equilibrio in un’ora e mezzo di affabulazione serrata (che è anche di registri narrativi e di linguaggio).
Da una parte la restituzione dell’umore di un’epoca (quella grama del dopoguerra fatta di disoccupazione in patria e sogni di emigrante ) con la storia nuda e soprattutto cruda delle centinaia di italiani morti nelle cave di carbone, fino alla tragedia di Marcinelle. Dall’altra la godibile chiave personale che fa procedere la storia con il racconto a tratti divertente del postino salentino.