«Italiani cìncali!» Storia della prima immigrazione assistita
Vite vendute per un po’ di carbone
Scena e ricerca restituiscono il dramma di chi partì per non tornare. UN’EPOPEA vicina, ma ormai anche lontana, quella dei nostri emigranti, costretti ad affrontare paesi, lingue, sensibilità nuove per una speranza di vita che consentisse loro di sfamarsi e di costruire una vita migliore per sé e per la propria famiglia.
Un’epopea di ignoti titani, gettati alla ventura dalla miseria e dalla disperazione di un Paese sconvolto dalla guerra, che il tempo del consumismo e dell’indifferenza tende oggi ad archiviare, ma di cui è importante invece tener desta la memoria. Per ricongiungersi a un passato che preservi vive le radici del nostro presente e magari ci aiuti a capire la realtà di oggi, drammaticamente segnata dalle carrette dei nuovi emigranti provenienti dal mare. Ripercorrendo le tracce di coloro che presero la strada della Francia, della Svizzera, del Belgio, con l’obiettivo di tornare e si trovarono invece precipitati, per spesso perirvi, in un incubo di abbrutimento e di paura, insidiato dal grisou delle miniere e illuminato solo dal pensiero del paese in cui avevano lasciato le loro donne, i loro figli, i loro vecchi. Un incubo, intrecciato di promesse ingannevoli e inenarrabili realtà, che rivive con terribile evidenza in questo Italiani cìncali!, spettacolo iniziale di un progetto imperniato sul primo caso di emigrazione assistita dallo Stato nell’immediato dopoguerra e realizzato in collaborazione con la facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Lecce e col sostegno del Ministero degli Italiani nel Mondo sulla scorta di accurate ricerche storiografiche, di materiali di archivi pubblici e privati, lettere, diari e testimonianze orali. Dove il titolo allude all’espressione con cui venivano chiamati in Svizzera i nostri connazionali. Probabilmente una storpiatura della parola cinq, cinque, usata dagli emigranti padani nel gioco della morra. O forse semplicemente zingari. E in ogni caso un’espressione spregiativa diretta a uomini che venivano considerati soltanto come braccia da fatica. La cui esperienza al limite dell’umano rivive attraverso il racconto, diretto e interpretato da Mario Perrotta, che ne è anche autore insieme a Nicola Bonazzi, di un postino, unico, come spesso accadeva, a saper leggere e scrivere in un paese di analfabeti. E per ciò stesso depositario delle sue storie, intrecciate di sacrifici, di attese, di nostalgie e di abbandoni. Mentre le condizioni terrificanti della miniera affiorano con sconvolgente evidenza sul filo di una narrazione pacata e priva di enfasi, punteggiata delle voci registrate di Ascanio Celestini, Peppe Barra, Laura Curino, Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani. Restituendo, tra momenti di sorridente levità e di coinvolgente tragicità, le vite disperate di uomini venduti per un sacco di carbone.