Mario Perrotta

Il Piccolo

«Italiani Cìncali!» secondo appuntamento della rassegna ContrAzioni al Comunale di Monfalcone Quell’Italia povera, laggiù in miniera Lo spettacolo racconta l’emigrazione del dopoguerra verso il Nord dell’Europa Monfalcone Raccontare storie. Raccontare l’Italia agli italiani. È il compito che il Teatro si è dato, dopo che ha smesso di farlo la stampa. Buttati all’inseguimento della litigiosità politica, […]

«Italiani Cìncali!» secondo appuntamento della rassegna ContrAzioni al Comunale di Monfalcone

Quell’Italia povera, laggiù in miniera
Lo spettacolo racconta l’emigrazione del dopoguerra verso il Nord dell’Europa Monfalcone Raccontare storie. Raccontare l’Italia agli italiani. È il compito che il Teatro si è dato, dopo che ha smesso di farlo la stampa. Buttati all’inseguimento della litigiosità politica, i giornali italiani spesso non fotografano più il Paese, hanno lasciato da parte la storia quotidiana, hanno rinunciato alle inchieste. Se ne occupa invece il Teatro, quello più recente, con una vivace generazione di narratori sociali, che contava Marco Paolini tra i primi, ma ne accoglie oggi molti altri, volenterosi e dotati.
Uno di questi è Mario Perrotta, pugliese, poco più di trent’anni. Perrotta si è preso la briga di studiare (assieme al drammaturgo Nicola Bonazzi) la diaspora degli emigranti meridionali e ne ha tratto i materiali per un lavoro, Italiani Cìncali! articolato su due spettacoli. Al Comunale di Monfalcone è andato in scena qualche sera fa il primo, «Minatori in Belgio».
Performance intensa, di cui si incarica da solo, e nella quale la forza delle parole è tutto. Soltanto di una sedia ha bisogno il narratore per restituire all’Italia odierna, campionessa di telefonini e carte di credito, l’immagine di ciò che era 50 anni fa, povera e affamata. Perrotta alterna la parlata leccese con parti in lingua italiana e tra lo spuntare dei fatti e la messa in campo dei documenti, racconta il sudore, i viaggi, la fatica, la polvere nera degli «arruolati» del Sud «venduti» sui mercati dell’industrializzazione.
All’Italia andavano 200 chili di carbone al giorno in cambio di ogni lavoratore spedito a scavare nelle miniere belghe. Tratta di braccia, compravendita di forza lavoro, che gli stessi minatori – quelli che si sono salvati dalla silicosi o dalle stragi come Marcinelle – faticano oggi a raccontare nella perdita di memoria e nello svanire delle parole. Così Italiani Cìncali! è la testimonianza viva e coinvolgente, quando non è atroce, di quell’emigrazione all’inferno. Una discesa nel buio, nel caldo che asfissia, nel fuoco della terra, appena appena filtrata dall’aver scelto come testimone la figura del postino Pinuccio, sedicenne che diventa il tramite delle lettere spedite dai minatori alle mogli rimaste a casa. E se fa male l’elenco dei lavoratori morti sottoterra, mentre in Italia canta il primo Celentano, la grazia di Italiani Cìncali! è anche di trovare in quella formula che è un insulto (Italiani zingari!) istanti di breve sorriso e momentanea consolazione.