Piedi scalzi, canottiera, barba incolta, gran sorriso neorealista, il leccese 33enne Mario Perrotta entra di diritto nel novero dei solisti raccontatori sociali, e lo fa nella sala Artaud del Teatro dell’Orologio con Italiani cìncali! scritto da lui e da Nicola Bonazzi, un testo che lo vede oratore-testimone, memoria vernacolare, attore affabulante e anche spirito offeso (fatalisticamente) per l’odissea dei minatori italiani, qui pugliesi, arruolati in Belgio, in Svizzera e in Germania nel dopoguerra.
E’ il primo capitolo d’una ricerca su esuli meno romanzati dei fratelli emigranti transoceanici. Ed è un colloquiale e irto poema, il suo, sui lunghi viaggi in treno, sul carbone di scambio che premiava il mercato delle braccia, sulle condizioni da caserma nelle baracche all’estero (residui di campi di concentramento), sulla silicosi che mieteva vittime, sulle storie a mille metri sottoterra nel Belgicche.
Perrotta sa dare grazia all’ignoranza consolatoria del postino che fa da ponte tra mogli e lavoratori, sa infondere sorpresa nelle fantasie di sesso, sa epicizzare lo stakanovismo in galleria culminante in tragedie come Marcinelle. Se distogliesse un po’ della sua sincera bonomia, il pezzo sarebbe superlativo.
La Repubblica“Italiani cìncali!” l’odissea dei minatori
Piedi scalzi, canottiera, barba incolta, gran sorriso neorealista, il leccese 33enne Mario Perrotta entra di diritto nel novero dei solisti raccontatori sociali, e lo fa nella sala Artaud del Teatro dell’Orologio con Italiani cìncali! scritto da lui e da Nicola Bonazzi, un testo che lo vede oratore-testimone, memoria vernacolare, attore affabulante e anche spirito offeso […]