Bruxelles – In miniera con Perrotta
Più che un “narrautore” Mario Perrotta è un “narrattore”, occupa quindi un posto particolare nel vivace quadro della nuova scrittura scenica composto da giovani e già mature figure del teatro dei nostri tempi. Allora, pur partendo dal desiderio di ricostruire le vicende degli emigrati italiani nel dopoguerra, Perrotta vuole entrare direttamente in quelle personalità, dargli voce e corpo, trascrivere su se stesso i loro sguardi e i loro gesti. Sguardi e gesti osservati personalmente, insieme a Nicola Bonazzi con cui poi ha composto il testo di Italiani Cìncali!. Già, perché anche in questo caso, come per altri esempi ormai illustri di nuova narratività scenica, c’è un attento lavoro di ricerca e di raccolta di testimonianze vere, vive, concrete. Il titolo rimanda a un modo di definire i nostri connazionali arrivati in quelle terre per lavorare nelle miniere, forse pensando a un “cinque” giocato alla morra dai veneti, ma l’assonanza con “zingari” è troppo forte per non esser chiara sia a chi usava la definizione sia a chi ne veniva etichettato. È una storia terribile quella degli italiani all’estero e nei giorni scorsi Perrotta è andato a raccontarla, con grande successo, proprio a Bruxelles, a Liegi e ieri a Genk, non lontani da quella Marcinelle dove in un tragico incidente nel ’56 più di duecento uomini rimasero intrappolati sottoterra e lì persero la vita. Fu quell’episodio a decretare le fine di quelle miniere e di condizioni di lavoro inimmaginabili ma ben conosciute dai governi (sia il nostro che il loro), anzi nate da precisi accordi internazionali. Perrotta pone al centro della scena un postino, colui che non solo recapitava le missive, ma che le leggeva ai familiari dei minatori, spesso trasformandole, celando sofferenze atroci e colorandole con qualche tenue bagliore di speranza. Il giovane, energico interprete fa emergere così la dolorosa realtà degli emigrati, ma da’ spazio anche alle voci delle donne di quei paesi dove sono rimaste soltanto loro, i vecchi e i bambini, dipingendo così il cupo affresco di un vero e proprio dramma collettivo. Arrivando anche a trasmetterci fisicamente l’orrore di quelle condizioni di lavoro quando ci descrive il più forte di tutti quegli uomini mentre scava forsennatamente un cunicolo di carbone nel quale a stento riesce a passare senza neppur poter tornare indietro.