Mario Perrotta

Hystrio

Lettere dalla miniera Storie di straordinaria emigrazione. Non quella che ha portato gli italiani oltreoceano, nelle Americhe, in Brasile o in Argentina agli inizi del secolo scorso, quella del sogno e del non ritorno, ma l’altra, cominciata alla fine della Seconda Guerra Mondiale, più tragica e sofferta, che spinse molti italiani del Sud a prendere […]

Lettere dalla miniera

Storie di straordinaria emigrazione. Non quella che ha portato gli italiani oltreoceano, nelle Americhe, in Brasile o in Argentina agli inizi del secolo scorso, quella del sogno e del non ritorno, ma l’altra, cominciata alla fine della Seconda Guerra Mondiale, più tragica e sofferta, che spinse molti italiani del Sud a prendere il treno e andare al Nord: chi all’interno dei confini italiani, chi raggiungendo Paesi come la Svizzera, la Germania, la Francia, il Belgio, per andare là dove veniva garantito un lavoro, e magari dopo qualche anno il ritorno a casa. Ma quei due soldi di speranza per molta gente si trasformarono in destino di morte, in incubo quotidiano, rassegnazione, e nostalgia della famiglia lontana. Il teatro a differenza del cinema, non ha quasi mai trattato questo tema, a cui la Compagnia del Teatro dell’Argine ha deciso di dedicare un Progetto che darà vita a due distinti spettacoli, il primo dei quali riguarda i minatori italiani in Belgio, giunti lì da ogni parte del meridione d’Italia, soprattutto dalla Puglia, da Lecce, regione di cui è nativo Mario Perrotta, che con passione si è dedicato alla ricerca di una possibile memoria storica di questo recente passato, individuandola nelle lettere che i minatori, insieme ai soldi, inviavano alle proprie famiglie.
Testimonianze desolate, terribili, racconti allucinati delle discese nell’inferno delle miniere, e la paura di non riuscire più a risalire, sepolti vivi, come accadde a Marcinelle l’8 agosto del 1956, dove morirono 136 italiani, insieme ad altri 126 minatori di altri paesi, e dove vera giustizia non fu mai fatta. Mario Perrotta crea teatralmente la figura di un postino, personaggio a cui dà voce insieme a tanti altri di cui ci parla sia attraverso le parole scritte che quelle trasmesse oralmente: documenti ufficiali, note didascaliche, dialoghi felicemente ricostruiti, situazioni inventate. Un intelligente e sensibile miscuglio di dati certi e fatti plausibili dà al denso monologo uno spessore ed un’incisività scenica semplice e coinvolgente, cui forse fa da unico limite la visibile differenza fra l’enorme impegno mostrato in scena, la ricca qualità del materiale raccolto, e una recitazione, a toni e gesti, troppo uniformata alle varie, esemplari, modalità del teatro di narrazione.