Mario Perrotta

Radio Gold

Un assaggio della prima domenica ad AstiTeatro 42 “In nome del padre” di e con Mario Perrotta […] Dal Teatro Alfieri è stato facile individuare i tanti spettatori che si sono spostati al cortile del Michelerio per lo spettacolo successivo, spostato nell’adiacente e veramente splendida ex  chiesa del Gesù a causa di un’improvvisa pioggerella. In […]

Un assaggio della prima domenica ad AstiTeatro 42

“In nome del padre” di e con Mario Perrotta

[…] Dal Teatro Alfieri è stato facile individuare i tanti spettatori che si sono spostati al cortile del Michelerio per lo spettacolo successivo, spostato nell’adiacente e veramente splendida ex  chiesa del Gesù a causa di un’improvvisa pioggerella. In questa cornice barocca Mario Perrotta, circondato da tre sculture stilizzate e dall’aspetto decadente, che richiamano i modelli classici del discobolo, del pensatore  e di un guerriero nell’atto del riposo, è il protagonista di In nome del padre, da lui scritto con la consulenza dello psicanalista Massimo Recalcati. Il tema è il tramonto del modello di paternità, consunto come le installazioni artistiche sulla scena, e lo svolgimento è giocato nell’intreccio tra le confessioni di tre diversi padri di adolescenti. Perrotta passa da un personaggio all’altro, dalla cadenza veneta, a quella siciliana e napoletana, con una disinvoltura straordinaria. La tempistica e la presa sul pubblico sono perfetti e le storie offrono un quadro riconoscibile della difficoltà di interazione genitori-figli. E’ irresistibile il padre giornalista siciliano che pretende di spiegare ai suoi lettori, con uno stile tronfio e zeppo di citazioni classiche, il silenzio e la reclusione del figlio, che si comporta come un “hikikomori” (un termine giapponese che indica chi si ritira dalla vita sociale). Il parallelismo forzato con l’atarassia di ellenistica memoria è paradossale come l’evidente (ed esilarante) contrasto, su ogni argomento, con la moglie, evocata da pause eloquenti. La corda della commozione suona (è il caso di dirlo, perché sarà la musica a segnare la ripresa del dialogo padre-figlio) nell’umiltà e nell’inadeguatezza del padre di Alessandro. In dialetto veneto racconta ad uno psicanalista (e si immagina l’apporto dell’esperienza di Recalcati) la lontananza dal figlio che si vergogna di lui e la sua mortificazione. Anche lui evoca una moglie sempre presente, ma, in realtà, da anni emotivamente staccata e ostile. È separato invece il padre di Giada, giovanilista, festaiolo, preteso compagno di bisbocce della figlia adolescente. Il suo slittamento di ruolo desterà nella figlia il sospetto di molestie, generando finalmente in lui una battuta di arresto e di autocritica. Non è un tema nuovo, i modelli proposti sono facilmente riconoscibili, ma l’effetto è travolgente e la prova di Perrotta commuove, diverte, genera identificazione e, infine, lascia senza fiato per il valore aggiunto di una versatilità interpretativa eccellente.