Mario Perrotta

La Repubblica – Robinson

Quanti errori padre nostro Tutto ciò che fanno i genitori è sbagliato, dice la leggenda. Massimo Recalcati, in più, dice che il nostro tempo è il tempo dell’evaporazione del padre e di tutti i suoi simboli e che possiamo scordarci “la loro rappresentazione patriarcale come bussole infallibili nel guidare la vita dei figli”. Proprio queste […]

Quanti errori padre nostro

Tutto ciò che fanno i genitori è sbagliato, dice la leggenda. Massimo Recalcati, in più, dice che il nostro tempo è il tempo dell’evaporazione del padre e di tutti i suoi simboli e che possiamo scordarci “la loro rappresentazione patriarcale come bussole infallibili nel guidare la vita dei figli”. Proprio queste riflessioni dello psicanalista hanno ispirato Mario Perrotta, drammaturgo, regista, attore monologante che ha sempre avuto uno sguardo attento sul presente e le nostre radici storiche come fece in Italiani cìncali!Emigranti Esprèss. Neo-padre, anche lui pieno di dubbi e incertezze, Perrotta ha così avviato (con la produzione dello Stabile di Bolzano) e la consulenza di Recalcati stesso, una trilogia sulle relazioni famigliari che parte proprio da questo In nome del padre che ha debuttato al Piccolo Teatro di Milano e ora è in tournée. In uno spazio simbolicamente astratto, con 4 figure-manichini di ferro dislocate nella scena vuota, Perrotta cambia ogni volta giacca e si alterna nel dare voce a tre padri diversi di un condominio simile a tanti di quelli in cui abitiamo, padri o logorroici o maniacali o deboli, ma animati da un inesausto desiderio di giustificare il proprio posto accanto ai figli i quali parlano attraverso le visioni e emozioni paterne: Virgilio barricato in camera perché non si sente compreso, Alessandro che non sa di cosa parlare col padre che non ha studiato e poco sa, Giada che si vergogna del proprio perché continua ad atteggiarsi a teenager. Mentre quei padri, un giornalista, un operaio e un imprenditore, non fanno che chiedersi e interrogarsi, chi per conto proprio, chi dall’analista. Un’ora e 40 di monologo, una prova di resistenza fisica, di capacità espressiva e credibilità psicologica dell’attore che Perrotta, nonostante il montaggio drammaturgico sia convenzionale e debba ancora trovare ritmo, supera agevolmente. E quanto ai padri, smarriti, incerti, fragili, poco a poco capiscono che serve poco lo stare in disparte, relegarsi in quella condizione atarassica che i giapponesi chiamano “hikikomori”. Meglio darsi una mossa. E, insomma, se vuoi essere padre, sbagliare bisogna.