Mario Perrotta

Hystrio

Perrotta: padri allo sbando, un “mestiere” al tramonto? Una trilogia: padri, madri, figli. Tre spettacoli monografici di cui Mario Perrotta è autore, regista, interprete. Comincia con il primo, i padri. Come sono i padri, oggi? Non più bussole infallibili nella guida dei figli, né tantomeno pesanti bastoni per drizzarne le spine dorsali. Fine dell’autoritarismo, termine […]

Perrotta: padri allo sbando, un “mestiere” al tramonto?

Una trilogia: padri, madri, figli. Tre spettacoli monografici di cui Mario Perrotta è autore, regista, interprete. Comincia con il primo, i padri. Come sono i padri, oggi? Non più bussole infallibili nella guida dei figli, né tantomeno pesanti bastoni per drizzarne le spine dorsali. Fine dell’autoritarismo, termine desueto, impronunciabile. Padri allo sbando, incerti su tutto, figli a cui è difficile dire qualche cosa di sensato, che non suoni predicozzo soporifero o goliardica connivenza. Nel costruire il testo gli ha dato una mano Massimo Recalcati, psicanalista molto in voga: consulenza, sostegno, dialogo, per sondare il mestiere di padre, un mestiere che, a detta di Recalcati, se non è proprio al tramonto, ha comunque definitivamente perso i connotati rassicuranti (anche se un po’ tetri) che aveva anche solo cinquanta, sessant’anni fa. Perrotta mette in scena tre padri a colloquio con i rispettivi figli: diversa la loro estrazione sociale, un capo operaio, ingenuo, sprovveduto, che si rivolge a uno psicanalista senza saper bene cosa chiedere; un giornalista, che affronta un figlio difficile, omosessuale, chiuso nella sua camera e nel suo mutismo; un commerciante napoletano che cerca di risolvere il complicato rapporto con la figlia in modo giocoso, spensierato. Il dialogo s’inceppa continuamente, i tentativi di contatto, di apertura falliscono. I padri cercano di abbattere il muro dietro cui i figli si barricano, ma non ci riescono, vorrebbero essere convincenti e invece finiscono per rivelarsi fragili, patetici, perdenti. Perrotta ha un grande talento, alterna le tre voci con indiscutibile bravura, gioca sui diversi registri con una magnifica inventiva, ma l’intreccio ogni tanto risulta artificioso, dà troppo spazio alle note superficiali e poco alle ombre, alle malinconie, alle frustrazioni che talora affiorano e rendono toccante il testo. Ed è in questi momenti che la voce di Perrotta acquista uno spessore, un’emozione che più ci coinvolge. Il fatto è che rischia di prevalere, nell’affrontare il tema dell’incomprensione tra generazioni diverse, il gioco: ma quando un adulto e un adolescente non si capiscono, gioco non è mai. Un padre che non riesce a farsi aprire la porta, reale e affettiva, da un figlio, fallisce il suo “mestiere”. Un fallimento che fa male, ci dice questo spettacolo.