Mario Perrotta

Gazzetta di Parma

Sul palco Perrotta si fa in tre A volte si vorrebbe poter aggiungere una lode moltiplicata al voto che dovrebbe sintetizzare la valutazione di uno spettacolo. E certo sarebbe il caso – per il testo come per la recitazione, un insieme perfetto – dell’ultima, coinvolgente creazione di Mario Perrotta, un nuovo importante appuntamento della preziosa […]

Sul palco Perrotta si fa in tre

A volte si vorrebbe poter aggiungere una lode moltiplicata al voto che dovrebbe sintetizzare la valutazione di uno spettacolo. E certo sarebbe il caso – per il testo come per la recitazione, un insieme perfetto – dell’ultima, coinvolgente creazione di Mario Perrotta, un nuovo importante appuntamento della preziosa stagione di Ragazzola, l’autore/attore solo in scena, ma in tre ruoli differenti, tre padri che abitano in appartamenti uno sopra l’altro, che il pubblico può imparare a conoscere per il carattere, il modo di relazionarsi con i figli, la consapevolezza che esplode dolorosa nel sentirsi inadeguati come genitori. Già dal primo incontro con uno spettacolo di Mario Perrotta – Italiani cìncali! sui minatori italiani in Belgio, una quindicina di anni fa, sul nostro Appennino, a Granara – si era rimasti incantati dalle stupefacenti capacità di Perrotta, che ha quindi continuato a creare spettacolo indimenticabili come Un bès dedicato a Ligabue, o Milite Ignoto, dove Mario Perrotta raccoglieva più voci di soldati della prima guerra mondiale, diversi gli accenti, lui stesso, solo dentro una trincea, un intero coro. Con In nome del padre – che si è andato definendo attraverso l’essenziale dialogo con Massimo Recalcati, importante la sua consulenza alla drammaturgia, il debutto al Piccolo di Milano – tre precise caratterizzazioni, per posture, cadenze, gesti, si alternano all’inizio in forma ravvicinata, Perrotta sul proscenio come l’intellettuale che cerca di dare forma, scrivendo un articolo, al profondo disagio, che prova così a oggettivare, belle parole, colte e vane, per suo figlio (forse) hikikomori, chiuso nella sua stanza; come il capo officina competente, tranquillo nel suo lavoro, ma pieno di timori in casa, lui che parla solo il dialetto, che aveva rinunciato alla musica per un lavoro sicuro sentendo la responsabilità della famiglia; come il commerciante orgoglioso del suo successo, tanti dipendenti e tanti soldi, fiero delle sue molteplici conquiste femminili, complice in bevute con la figlia Giada, che arriverà ad accusarlo di comportamenti scorretti con le sue amiche, forse anche con lei. Diversi gli interlocutori assenti, i figli, ma anche lo psicanalista o la moglie. Dopo la prima parte lo spazio d’azione si amplia: su tre sculture/manichini sono appoggiate le giacche che Perrotta via via cambierà per essere quei padri insicuri, confusi, con parti di maggior respiro per ciascuno di loro. Tanti i possibili rispecchiamenti anche solo parziali, molti i passaggi carichi di commozione anche per il pubblico, che è quindi esploso in applausi che sembravano non voler finire mai.