Mario Perrotta

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Il Teatro dell’Argine alla prova del classico di Molière Costringe il teatro a fare il suo lavoro Il Misantropo secondo Mario Perrotta: rivelare l’umanità a sé stessa raccontando una storia, senza il velo di complicate interpretazioni ma con il filo di una immediata, evidente verità. Un compito anacronistico: chi oggi crederebbe a una qualche verità, […]

Il Teatro dell’Argine alla prova del classico di Molière

Costringe il teatro a fare il suo lavoro Il Misantropo secondo Mario Perrotta: rivelare l’umanità a sé stessa raccontando una storia, senza il velo di complicate interpretazioni ma con il filo di una immediata, evidente verità. Un compito anacronistico: chi oggi crederebbe a una qualche verità, quando tutto è diventato opinabile, rileggibile, riscrivibile, manipolabile?
Nella lettura del regista, il personaggio di Molière è individuo contro la società, ostinato fino alla patologia e all’autodistruzione: seguiranno, sullo stesso tema, Bouvard e Pécuchet e I cavalieri di Aristofane per una trilogia che declina in modo nuovo e intelligente impegno civile e proposta cioè lo scavo di testi classici che rischiano di sparire pian piano dai palcoscenici meno ingessati e scolastici (e in prospettiva da tutti).
Ci voleva coraggio per tentare una versione nuova di zecca del Misantropo: il risultato ottenuto dall’attore letterato Perrotta è traduzione molto italiana in cui si rinnova la lunga storia di dialoghi e scambi tra Molière e il teatro italiano. È un copione che che punta con efficacia alla comunicabilità del verso, a una dicibilità svelta ma non facile. Conservando il verso alessandrino Perrotta ha introdotto infatti nel recitato tensioni e pluralità di ritmi, lasciando però al dettato una completa resa comunicativa, che il pubblico ha mostrato di apprezzare. Tanto che anche qualche attualizzazione con rimandi troppo diretti ai personaggi famosi e televisivi di oggi si inserisce senza insostenibili scossoni.
La messinscena è affidata interamente ai mezzi recitativi della compagnia, in assenza di qualsiasi elemento scenografico. Scena vuota, dunque, ma fino a un certo punto: ci sono i costumi, c’è la presenza di spalle degli attori non di scena sul perimetro del palco, c’è la capacità di disegnare spazi e luoghi con il movimento, ritagliando e occupando aree diverse sul palco stesso.
Così la macchina teatrale progettata e messa in moto da Perrotta funziona grazie alla scioltezza e alla potenza recitativa degli attori, mossi con grazia e tensione: al centro di tutto c’è Paola Roscioli che imprime al movimento scenico il fiero sigillo di una personalità d’attrice, con lei Marco Toloni, Lorenzo Ansaloni, Mario Perrotta, Donatella Allegro, Giovanni Dispenza, Alessandro Mor, Maria Grazia Solano.