Molière come sul ring
CUNEO – Per Mario Perrotta, «qualunque forma d’arte interroga il suo tempo: noi uomini di teatro abbiamo il compito di fare la nostra parte». Nato a Lecce nel 1970 e attore fin da piccolo (complice un nonno), si trasferisce a Bologna dove si laurea in filosofia (con una tesi sull’estetica di Pirandello), è tra i fondatori della Compagnia del Teatro dell’Argine e si scopre anche regista con spettacoli come “Utopolis Cabaret” o “La càsina” di Plauto (dove è affiancato da Francesco Guccini). Raggiunge, però, la fama con una personale reinterpretazione della formula del “teatro di narrazione”, cioè la corrente di attori-drammaturghi raccontatori di storie capeggiata da Ascanio Celestini. Ecco così “Houdini”, i due monologhi del progetto “Cincali” (sull’emigrazione italiana), “Emigranti Esprèss” (su Radio2) e “Paradossi italiani” per il Tg3 (anche su YouTube), piccole storie di eroismo quotidiano di persone in lotta con le difficoltà e le illegalità imperanti.
Il premio Ubu arriva nel 2012 non con questi spettacoli “solitari”, ma con la “Trilogia sull’individuo sociale”, in cui si confronta con Molière, Aristofane e Flaubert, dirigendo (e facendosi affiancare da) un gruppo di brillanti attori. Nella prima (riuscita) puntata, “Il misantropo”, vista al Toselli il 20 marzo, Perrotta mostra con ritmo implacabile un mondo artificioso e spietato di maschere e ipocrisie con otto personaggi che si muovono in modo quasi coreografico, scuotendo specchietti a mo’ di cellulari, su una sorta di ring senza scenografie (a parte alcuni sgabelli). Ritradotto in versi dallo stesso attore-regista (che interpreta anche la parte del protagonista Alceste, originariamente affidata a Marco Tonoli), il testo è messo in scena con rispetto, a parte la lunga tirata molieriana contro le figure più discusse della corte, qua attualizzata riferendosi a Berlusconi, Grillo, D’Alema, Maria De Filippi, Vespa & C.