Il Misantropo

Il MisantropoMolière

«C’è memoria del teatro del primo Mario Perrotta, negli otto personaggi che egli dissemina su sgabelli nel vuoto. C’è la politica. C’è sana denuncia. C’è accusa per i nostri leader sornioni. E c’è ritmo e senso»

Rodolfo di Giammarco, La Repubblica

La Repubblica

Il Misantropo secondo Perrotta

C’è memoria del teatro del primo Mario Perrotta, negli otto personaggi che a Inequilibrio (Castiglioncello) egli dissemina su sgabelli nel vuoto. C’è la politica, ne il Misantropo di Molière che Perrotta traduce e realizza avviando una “Trilogia sull’individuo sociale” (seguiranno Aristofane e Flaubert). C’è sana denuncia della piaggeria verso il potere che Alceste (Marco Toloni) non tollera. E c’è accusa per i nostri leader sornioni, indignazione per le escort d’alto bordo con riferimento a una pur acuta Célimene (Paola Roscioli), e scherno per la retorica di Oronte che Perrotta impersona. E c’è ritmo e senso.

L'Unità

L’etica del Misantropo

[…] Se Roberto Latini coglie il sintomo di un teatro pronto a tornare alla phoné lasciando i bagliori delle scene, Mario Perrotta ne coglie il desiderio di respirare classico, di allargare i confini. Mette da parte, con coraggio, i successi degli assoli (la doppietta di Italiani cincali e La Turnata su memorie di emigranti), e passa a un Molière corale per otto attori. Traducendo, aggiornando al contemporaneo i riferimenti del testo, lavorando all’attualità politica di un Misantropo che si fa “militante dell’etica”. Un uomo disgustato dagli intrecci scandalosi di potere e politica. Perrotta si fa vanesio e untuoso Oronte, lasciando a Marco Toloni il cipiglio serio di Alceste. Nell’equilibrata orchestra dei recitanti spicca però la Celimene di Paola Roscioli, puntualissima fra toni di civetteria e lampi di cattiveria.

Hystrio

Molière/Perrotta – Alceste militante dell’etica contro i malati di potere

Solido e senza tempo come solo un grande classico può essere, ma anche forte e fragile come è il puro teatro d’attore e di parola. Ha rischiato grosso Mario Perrotta abbandonando gli assoli con seggiola da narratore per buttarsi in un’avventura collettiva che, dopo Molière, prevede Aristofane e Flaubert: una “Trilogia dell’individuo sociale” per indagare quanto siamo homo homini lupus e quanto invece disponibili alla convivenza civile. Ha scelto il Misantropo, ne ha fatto una traduzione che sarebbe piaciuta a Garboli, rispettando il verso ma rendendolo “dicibile” in scena, lasciando perdere le forzate attualizzazioni ma concedendosi qualche manomissione per mantenere l’efficacia del portato satirico. Qualcuno potrà storcere il naso a sentir citare Clemente, Pierferdinando, Dalemide, Ignazio, gli amici di Maria, Alba e il presentatore dalle mani giunta al posto dei vari Cleante, Damone, Belisa, Adraste, Damide… Eppure ci sta, perché se quei nomi all’epoca di Molière appartenevano a persone ben precise, oggi per noi non avrebbe senso. Senso che riacquistano nominando i cortigiani del nostro tempo. Coraggiosa è anche la scelta registica: otto attori soli in scena con le loro storie, senza appigli scenografici, a muoversi come su un nudo ring e ad aspettare il proprio turno seduti in posa su sgabelli. Non ha cercato altro Perrotta, se non il testo e l’attore, riservando per sé un istrionico cameo nel ruolo di Oronte, nobile ipocrita e pessimo poeta bistrattato da Alceste. E lo spettacolo lo si è visto crescere (…) A partire dal protagonista, l’Alceste di Marco Toloni, che va colorando di rabbiose passioni la sua intransigenza verso i lacché dei potenti per poi ritrovarsi disarmato di fronte all’amore per la più cortigiana di tutte, la splendida Celimene di Paola Roscioli, padrona assoluta della scena fin dal debutto. Le stanno al passo la coppia “buona” Eliante-Filinte (Francesca Bracchino e Lorenzo Ansaloni), unici amici sinceri del ruvido protagonista (…) D’altra parte il teatro d’attore è questo: matura solo attraverso la pratica scenica e questo spettacolo lo sta dimostrando.

Corrieredellasera.it - Bologna

Il Misantropo nero e corale di Mario Perrotta

Mario Perrotta scaglia in uno spazio vuoto i personaggi del Misantropo di Molière in un corpo a corpo senza respiro con i fantasmi della menzogna sociale. Otto sedie ai bordi della scena, segnata in terra con linee che formano un quadrato. Geometricamente ossessive sono le passioni dei personaggi che si affronteranno in quel ring ideale, inchiodati ai loro ruoli in un confronto sulla sincerità e la menzogna virato al nero, incalzante, contemporaneo e antico come i costumi, barocchi e di oggi. Niente suppellettili, niente scene: solo parole e caratteri, piaggerie e furiose sgradevoli antisociali verità. Bastoni per sorreggersi, trascinare, sfidare. Piccoli specchi portatili agitati come amuleti per provare a squarciare, a riconoscere la vanità e le maschere. Perché tutti ne indossano qualcuna, anche Alceste, il protagonista, nei suoi disgusti senza mediazioni, che lo rendono incapace di umana comprensione.
Perrotta, con la sua fluida traduzione, con la sua regia a ritmi rock, aggiorna anche alcuni riferimenti di Molière adattandoli a moderni cortigiani. Ma questa è forse la parte più debole dello spettacolo: si ferma al piacere della battuta, per l’attore, e del riconoscimento, per il pubblico, senza la corrusca forza politica che aveva l’invettiva nel buio di Leo de Berardinis in Il ritorno di Scaramouche, contro “‘sto mariolo che c’arrobba pure ‘o sole”. La virtù, qui, sta invece nel ritmo senza requie, che tutto travolge, compreso il protagonista, ridicolo, inadeguato nel suo voler forgiare un mondo nuovo che non si lascia plasmare. La tenerezza, la dignità finale, sta nell’amico e nella cugina di Celimene, che semplicemente hanno il coraggio di confessarsi il loro amore, prospettando la possibilità di una vita “naturale”.
La lotta contro il mondo di Alceste nella sua radicalità umorale, nel suo rifiuto del mondo,nella sua solitudine è destinata all’esilio. Nella furia di questa ora e mezza si racconta l’isolamento che non viene a patti e che non porta sbocchi, accennando solo altri aspetti dell’opera, come il doloroso autobiografismo dell’autore, Molière. Ma non manca il gusto per certe sfumature, specie nella caratterizzazione fisica epica di certi personaggi. Bastano alcuni passi di tango, qualche sguardo sfuggente, per descrivere l’amore “alla moda” di Celimene; qualche postura artificiale per evocare la piaggeria cortigiana.
Bravi gli attori, spesso impegnati in vere e proprie prove di virtuosismo all’ultimo fiato. Sempre segnato dal violento distacco dalle bassezze l’Alceste di Marco Toloni, tronfio, piacione e sottilmente feroce il vanesio Oronte di Perrotta, solenne anche nella dissimulata civetteria la Celimene di Paola Roscioli. Le altre figure sono affidate a Lorenzo Ansaloni, Donatella Allegro, Giovanni Dispenza, Alessandro Mor, Maria Grazia Solano. Il misantropo è la prima tappa di una Trilogia sull’individuo sociale che proseguirà con I cavalieri di Aristofane e Bouvard e Pécuchet di Flaubert. Già da questa prima tappa si apprezza la regia efficace e il coraggio di Perrotta, che abbandona la strada dell’aedo tutto solo in scena per misurarsi con un testo in compagnia.

La Gazzetta di Parma

Castiglioncello in perfetto “Inequilibrio”

AL FESTIVAL TOSCANO TANTI GLI SPETTACOLI DI GRANDE INTERESSE

Sempre perfetto il festival di Castiglioncello , «Inequilibrio» di Armunia, direttore artistico Massimo Paganelli, per la scelta degli spettacoli nell’ansia sincera di confrontarsi, senza pregiudizi, con le poetiche della contemporaneità, per il clima di reciproco ascolto tra gli artisti, per il piacere di capire, di creare progetti, di attivare sinergie.
Così anche quest’anno. Tra gli spettacoli di particolare interesse, intelligenza, fascino, «Il misantropo » di Molière per la regia di Mario Perrotta, un’importante coproduzione tra più soggetti, tra i quali proprio Armunia, otto interpreti in scena, e «Iago, Desdemona e Otello» di Libero Fortebraccio Teatro, magnifico protagonista Roberto Latini, affiancato per un breve tratto da Elena de Carolis. Ma se questi due spettacoli resteranno alla memoria a lungo, con la speranza anche di incontrarli nuovamente nelle stagioni invernali, rivederli, recensirli separatamente, piacevoli, interessanti, di qualità anche altri gruppi e titoli (…)
Il «Misantropo » mescola proprio tradizione e ricerca, il testo rispettato anche nell’attualizzarlo, traducendo le ironie, gli sberleffi, dal passato al tempo presente, nel divertito gioco degli specchi, ciascuno sempre pronto a mostrare agli altri la propria identità o a scoprirla per sé in azioni di ritmica eleganza coreografica, molto bravi, ben affiatati, tutti gli attori, Marco Toloni, Lorenzo Ansaloni, Mario Perrotta, Paola Roscioli, Francesca Bracchino, Nicola Bortolotti, Alessandro Mor, Maria Grazia Solano.

Stilos

Il Misantropo di Perrotta

“Attratto dall’integralismo etico del protagonista” già da molti anni Mario Perrotta accarezzava l’idea di un suo Molière che, dopo l’esploit dei suoi straordinari monologhi, diventava una sfida coraggiosa e irrinunciabile. Ma con questo MISANTROPO parte in realtà un progetto ambizioso e sapiente: la messinscena in tre anni di Molière e poi Flaubert, passando da Aristofane. “Trilogia dell’individuo sociale” affrontando testi come I CAVALIERI e poi BOUVARD e PECUCHET. Un salto notevole che porta questo artista raffinato e di grande cultura ( è sua la traduzione del MISANTROPO, assolutamente rigorosa nel rispetto del verso alessandrino) ad allontanarsi dalla splendida solitudine dei suoi assoli per scegliere una coralità ormai necessaria, perché fare Teatro significa mettersi in gioco e ogni cambiamento segna un percorso nuovo, anche se ancora una volta è raccontare una storia che sta a cuore a Perrotta. E che storia. Un testo che parla di noi, così tragicamente contemporaneo. Otto attori su una scena vuota, dove la parola detta spalanca abissi di senso e ci riporta ai nostri giorni imbarazzanti e malati , quando resistere ti porta fuori gioco e perdi perché scegli di perdere, di non lasciarti contaminare. Così lui che aveva raccontato la migrazione degli italiani “cingali” ( zingari, come li chiamavano gli svizzeri) , seicento repliche,instancabile e appassionato da un palcoscenico all’altro, riscopre la poesia, e i versi di Molière lo portano a riflettere sul nostro tempo e sulla natura dell’uomo. Del resto il tema della moralità accompagna da sempre il percorso artistico di Perrotta ma la modernità del grande Molière “sembra paradossale ma la società del re Sole così asfittica e autoreferenziale , riguarda strettamente la nostra società globalizzata” spalanca nuovi orizzonti all’attore-narratore ed ecco allora un Teatro scabro, rigoroso essenziale in cui la questione etica emerge senza retorica alcuna in una messinscena assolutamente godibile. Un Teatro d’attore e di parola ,ricco di senso e ferocemente allusivo e tuttavia con il grande interrogativo sempre aperto: homo homini lupus o animale sociale? Generosi,e misurati, gli otto attori abitano la scena per tutto il tempo appollaiati su alti sgabelli da cui scendono ogni volta che prendono la parola, e una menzione particolare va alle interpreti femminili tra cui emerge il talento di Paola Roscioli, una Celimene affascinante e ruffiana. Mentre Perrotta si è ritagliato il piccolo ruolo di Oronte, pessimo poeta e servo del potere. Ottimo inizio per un progetto triennale che merita attenzione e sostegno.

La Guida

Molière come sul ring

CUNEO – Per Mario Perrotta, «qualunque forma d’arte interroga il suo tempo: noi uomini di teatro abbiamo il compito di fare la nostra parte». Nato a Lecce nel 1970 e attore fin da piccolo (complice un nonno), si trasferisce a Bologna dove si laurea in filosofia (con una tesi sull’estetica di Pirandello), è tra i fondatori della Compagnia del Teatro dell’Argine e si scopre anche regista con spettacoli come “Utopolis Cabaret” o “La càsina” di Plauto (dove è affiancato da Francesco Guccini). Raggiunge, però, la fama con una personale reinterpretazione della formula del “teatro di narrazione”, cioè la corrente di attori-drammaturghi raccontatori di storie capeggiata da Ascanio Celestini. Ecco così “Houdini”, i due monologhi del progetto “Cincali” (sull’emigrazione italiana), “Emigranti Esprèss” (su Radio2) e “Paradossi italiani” per il Tg3 (anche su YouTube), piccole storie di eroismo quotidiano di persone in lotta con le difficoltà e le illegalità imperanti.

Il premio Ubu arriva nel 2012 non con questi spettacoli “solitari”, ma con la “Trilogia sull’individuo sociale”, in cui si confronta con Molière, Aristofane e Flaubert, dirigendo (e facendosi affiancare da) un gruppo di brillanti attori. Nella prima (riuscita) puntata, “Il misantropo”, vista al Toselli il 20 marzo, Perrotta mostra con ritmo implacabile un mondo artificioso e spietato di maschere e ipocrisie con otto personaggi che si muovono in modo quasi coreografico, scuotendo specchietti a mo’ di cellulari, su una sorta di ring senza scenografie (a parte alcuni sgabelli). Ritradotto in versi dallo stesso attore-regista (che interpreta anche la parte del protagonista Alceste, originariamente affidata a Marco Tonoli), il testo è messo in scena con rispetto, a parte la lunga tirata molieriana contro le figure più discusse della corte, qua attualizzata riferendosi a Berlusconi, Grillo, D’Alema, Maria De Filippi, Vespa & C.

Corriere di Firenze

Misantropo di Mario Perrotta

CASTIGLIONCELLO – Perrotta c’è ma non si vede. Anzi a guardar bene, a scrutare le sediole, gli sgabelli precari come trespoli da pappagallo sui quali stanno il manipolo di attori dai passi di danza tangheiri, “metà strehleriani e metà ronconiani” dice il cincalo italiano, sono moltiplicate all’esterno di un ring, un quadrato delimitato da rette bianche, confine marcato ed irrinunciabile, soglia del dentro o fuori, il centro e il limbo, la presa di coscienza o il trasporto del sistema. Chiamala la tirannia della maggioranza. E la storia del “Misantropo” moleriano (presentato in prima al Festival delle Colline torinesi) sembra perfetta per descrivere i nostri tempi e la traduzione di Perrotta, fresca, diretta come diretti con i guantoni tra le corde, dal linguaggio quotidiano senza scadere in quello televisivo, ben riesce a dare ritmo ed una ulteriore regia. Una scelta politica. Al centro la moralità, obiettivo e fulcro della storia artistica del Perrotta che dal “fuori” dell’immigrazione, dall’indignazione del “lontano”, adesso scende nelle viscere nostre, terrene e tricolori, che le faccende a noi vicine sono sempre più difficili da stigmatizzare, da darne un contorno preciso e non partigiano. E’ un progetto triennale che dopo questo Moliere ’09 passerà ad un Aristofane nel 2010 ed a Flaubert nell’11. Trilogia dell’individuo sociale. Perrotta, tra gli otto attori, si ricicla e si ritaglia il ruolo più piccolo, quello di Oronte. Un quadrato-arena che l’ottimo protagonista Alceste, duro, sudato, iperattivo, percorre sul filo, nel perimetro senza imbattersi nelle onde dolci e salottiere del centro delle lusinghe e delle convenzioni. I costumi di scena sono coloratissimi, gli attori non escono mai di scena, e tutti hanno uno specchio in mano con la doppia funzione rivelatrice: se da un lato è lo specchiarsi un vezzo istintivo e maniacale nell’intento di ri-conoscersi nella stupida estetica senza sostanza né profondità come in un’unica bidimensionalità, dall’altro il cristallo di riflessi è anche il mezzo per vedersi nelle fattezze, nei difetti dell’altro, rinnegandolo, bloccandone l’arrivo nel proprio spazio vitale come la paletta della polizia stradale, come un divieto di transito. E l’ingiustizia urlata da Moliere per i malaffari ed i personaggi viscidi e sordidi del proprio tempo diventa in Perrotta non una violenta presa di posizione, non un’aggressione verbale ma un continuo e leggero (e quindi ancor più penetrante perché ironico e giocoso) dileggio nei confronti di icone che nel nostro deturpato Bel Paese fanno tendenza e moda e creano seguiti, a tratti anche infarcendosi la bocca con parole sacre come “cultura” e “politica”. In questo paniere stanno le rime dal sapore goliardico, stilettate sobrie, che tirano in ballo la Carfagna e il Vecchio Cavaliere, “i tacchi non danno la statura per governare un Paese”, come Maria De Filippi, Ignazio La Russa e l’“equilibrista” Casini, Alba Parietti “sembra che sia in calore in tutte le stagioni”, D’Alema, il Tartufo-Vespa “il cortigiano che bussa a Porta a Porta”. Il rigetto che accomuna l’autore francese e il nostro “turnato” è un vomito contro le veline e il berlusconismo, i figli di papà, le falsità, l’ipocrisia, la malizia, la compiacenza, l’imbroglio, la frode, la corruzione, morale e materiale, la furbizia, gli adulatori, i leccapiedi dalle lodi sperticate, un mondo dove “è un vanto non aver mai letto un libro”. La beffa è che ognuno di noi, in teoria, è d’accordo nel condannare questo sistema di disvalori, poi, nel nostro piccolo, cediamo, acconsentiamo, chiniamo la testa o la voltiamo da un’altra parte.

La Nazione - Arezzo

Play Festival – Perrotta rivisita il testo sacro di Molière

Verità e finzione danzano intorno al ring. il ring del teatro Pietro Aretino, o meglio la sua versione sotto le stelle, che durante la notte ritaglia il Misantropo di Molière. Il ring della vita. Otto sgabelli, uno per ciascun attore, che si muovono in sincronia, si alzano e si studiano ai lati opposti del quadrato. Ognuno con il suo specchietto al collo. Un po’ per confermare la propria immagine, un po’ per sbattere quella dell’altro addosso al nemico: in un gioco delle parti a tratti spontaneo a tratti no. Gli specchietti diventano armi, armi di un duello a tratti surreale e un po’ troppo innamorato di se stesso. Lì dove la verità e a finzione si scambiano le parti, fin quasi a sembrare la stessa cosa. Perché la finzione è tanto mediata da apparire la verità più credibile. Perché la verità è talmente estrema da sembrare finzione. Specie per certe soluzioni di scena. Ad esempio gli uomini che girando su se stessi diventano carillon e scandiscono il passaggio delle scene. (…) In scena gli attori non mancano. Tre su tutti. Marco Toloni, un Alceste arrabbiato e disperato che trasmette bene la beffa dell’uomo insieme integro e a pezzi. Maria Grazia Solano, profilo tagliente e un registro che esce dagli schemi. E lo stesso Mario Perrotta, che si ritaglia addosso un Oronte che dà il meglio di sé nella prima parte. Quando l’ironia prende il campo, quando le pause comiche son quanto mai attuali.

Eolo-ragazzi.it

Misantropo

Il nostro viaggio per l’Italia dei festival inizia a Castiglioncello ad “In Equilibrio”, negli ultimi tre giorni di questo benemerito festival che tanto ha fatto in questi anni per il rinnovamento della scena italiana, puntando sui gruppi giovani verso soprattutto un teatro che riacquistasse il senso della parola significante e verso una danza che potesse ampliare i propri confini.
Momento clou dell’ultimo week end è stata la presentazione del nuovo lavoro di Mario Perrotta, artista conosciuto soprattutto come felice narratore, in veste qui di regista ed attore. Perrotta, una delle tante anime del Teatro dell’Argine, ha riproposto in una scabra ma densissima trasposizione scenica uno dei capolavori del teatro europeo “Il Misantropo” di Moliere.
Scabra perchè in una scena completamente nuda è il gioco degli attori che compie il miracolo del teatro ma densa perchè con pochissimi accorgimenti al testo viene restituita una contemporaneità esemplificatrice. E’ pur vero che il testo di Moliere è di una modernità disarmante e come dice lo stesso regista “ nei rapporti di potere e col potere: niente è di più vicino a noi…. Sembra paradossale ma la società del Re Sole – così asfittica e autoreferenziale – riguarda strettamente la nostra società globalizzata”. Il Misantropo è il protagonista Alceste ,un efficace Marco Toloni, intransigente idealista, che conduce la sua vita senza false ipocrisie non piegandosi mai a compromessi, incapace di conciliare la propria eticità con le consuetudini sociali. Innamorato di Célimène, una giovane donna un po’ civetta ed amante della mondanità, cerca di convincerla ma invano a rinunciare per amor suo al mondo a cui è abituata. Alla fine Alceste perduto anche un processo intentatogli, deciderà amaramente di uscire di scena.
Perrotta con una serie di compagni di valore come Lorenzo Ansaloni, Paola Roscioli, Francesca Bracchino, Nicola Bortolotti, Alessandro Mor, Maria Grazia Solano mette in scena questo apologo sulla moralità, seguendo fedelmente il copione molieriano, munendo i suoi personaggi di uno specchietto in cui guardarsi e solo un momento si discosta dal testo quando nella scena della festa il chiacchericcio delle malelingue si abbatte su alcune figure archetipe del nostro tempo. Ma tutto ciò avviene discretamente, senze enfasi caricaturale.
Insomma alla fine lo spettacolo risulta essere un modo intelligente e godibile di riproporre un classico ad un pubblico totale restituendogli tutte le sue valenze ancora oggi perfettamente riconoscibili.

Lospettatore.it

Il Teatro dell’Argine alla prova del classico di Molière

Costringe il teatro a fare il suo lavoro Il Misantropo secondo Mario Perrotta: rivelare l’umanità a sé stessa raccontando una storia, senza il velo di complicate interpretazioni ma con il filo di una immediata, evidente verità. Un compito anacronistico: chi oggi crederebbe a una qualche verità, quando tutto è diventato opinabile, rileggibile, riscrivibile, manipolabile?
Nella lettura del regista, il personaggio di Molière è individuo contro la società, ostinato fino alla patologia e all’autodistruzione: seguiranno, sullo stesso tema, Bouvard e Pécuchet e I cavalieri di Aristofane per una trilogia che declina in modo nuovo e intelligente impegno civile e proposta cioè lo scavo di testi classici che rischiano di sparire pian piano dai palcoscenici meno ingessati e scolastici (e in prospettiva da tutti).
Ci voleva coraggio per tentare una versione nuova di zecca del Misantropo: il risultato ottenuto dall’attore letterato Perrotta è traduzione molto italiana in cui si rinnova la lunga storia di dialoghi e scambi tra Molière e il teatro italiano. È un copione che che punta con efficacia alla comunicabilità del verso, a una dicibilità svelta ma non facile. Conservando il verso alessandrino Perrotta ha introdotto infatti nel recitato tensioni e pluralità di ritmi, lasciando però al dettato una completa resa comunicativa, che il pubblico ha mostrato di apprezzare. Tanto che anche qualche attualizzazione con rimandi troppo diretti ai personaggi famosi e televisivi di oggi si inserisce senza insostenibili scossoni.
La messinscena è affidata interamente ai mezzi recitativi della compagnia, in assenza di qualsiasi elemento scenografico. Scena vuota, dunque, ma fino a un certo punto: ci sono i costumi, c’è la presenza di spalle degli attori non di scena sul perimetro del palco, c’è la capacità di disegnare spazi e luoghi con il movimento, ritagliando e occupando aree diverse sul palco stesso.
Così la macchina teatrale progettata e messa in moto da Perrotta funziona grazie alla scioltezza e alla potenza recitativa degli attori, mossi con grazia e tensione: al centro di tutto c’è Paola Roscioli che imprime al movimento scenico il fiero sigillo di una personalità d’attrice, con lei Marco Toloni, Lorenzo Ansaloni, Mario Perrotta, Donatella Allegro, Giovanni Dispenza, Alessandro Mor, Maria Grazia Solano.

Sistemateatrotorino.it

Il Misantropo

E’ un pregevole lavoro di attori Il Misantropo – Molière che il Teatro dell’Argine ha presentato in prima nazionale al Festival delle Colline Torinesi. Emergono le individualità degli interpreti con la loro irruenza ed energia (…) La scena è vuota, uno spazio quadrangolare nero, circondato da semplici sgabelli; tra i pochi oggetti, sono efficaci i bastoni con l’impugnatura a forma di mano che fungono anche da sedili portatili. Il gioco dei personaggi si snoda poi attorno agli specchietti che ciascuno porta con sé, appesi al collo come telefoni cellulari ed usati con la medesima maniacalità: per comunicare in modo compulsivo con sé stessi, per guardarsi e guardare, riconoscersi e mettere in crisi gli altri, abbarbicandosi ad un’identità sempre difficile da inquadrare. Alceste è Marco Toloni, il misantropo, colui che non scende a compromessi con la verità (ma la sua verità, come giustamente sottolinea Perrotta); Filinte è Lorenzo Ansaloni, amico sincero di Alceste, però accomodante; Oronte è il regista Mario Perrotta, uomo di corte, rimatore sgraziato ed adulato; Celimene è Paola Roscioli, amata da Alceste pur rappresentando la quintessenza del trasformismo; Eliante è Francesca Bracchino, cugina di Celimene dal dolce carattere; Arsinoè è Maria Grazia Solano, conoscente di Celimene, sinceramente brusca; Acasto è Nicola Bortolotti e Clitandro è Alessandro Mor, entrambi parodici innamorati di Celimene. In scena sono ottime le donne, che hanno modellato con personalità le rispettive parti, calcando sulla seduzione algida ed infida (Roscioli), sulla morbidezza del gesto e dei toni (Bracchino), sulla sensualità aggressiva ed intrigante (Solano); sono bravi anche i colleghi uomini (…) Va ribadito che il regista Perrotta non si è riservato il ruolo principale, pur imprimendo all’opera un suo preciso disegno. Anche questo è un segno, rispettabile, del suo progetto.

Corriere di Arezzo

Il Misantropo secondo Mario Perrotta

Il Misantropo di Molière, visto e riletto secondo la lente di ingrandimento di Mario Perrotta attore e regista, ma soprattutto, autore tra i più brillanti nel firmamento della nuova schiera di “autori impegnati socialmente”. Un fuoriclasse al pari dei vari Ascanio Celestini e Marco Paolini, che sanno portare la prosa più impegnata e irriverente all’attenzione del grande pubblico, entrato a far parte l’altra sera del viaggio del Play Art 2009. (…) Uno dei migliori pezzi di teatro visti ad Arezzo negli ultimi anni. (…) La riattualizzazione riletta da Perrotta trova la sua massima espressione nel gioco della scena dei ritratti, un classico del Molière autore della corte di re Sole. (…) Con molto classe l’autore leccese, si può permettere di lanciare tutte le frecciate possibili, stigmatizzando chi vuole. (…) Dal D’Alema astuto e “massimo” regista, che da dietro le quinte lancia il sasso nasconde la mano, al Casini che dal “centro” tesse le fila, al cortigiano Vespa che “bussa porta a porta” a Maria De Filippi potente solo grazie al marito, fino al “Re nano che s’alza sui tacchi, che pur non danno la statura per reggere un paese”. Infine uno degli stratagemmi più riusciti. Il gioco degli specchi nelle mani dei pritagonisti. Nello specchio si riconosce le propria identità e se ne rinvia una deformata agli altri.
Una trasposizione in italiano riuscitissima.

< Torna alla rassegna stampa