Mario Perrotta

Il Giornale del Friuli

I Cavalieri. Aristofane Cabaret Fa parte della “Trilogia sull’individuo sociale” lo spettacolo con cui Akròpolis inaugura il 2012 al Palamostre di Udine. È un ottimo inizio d’anno con I Cavalieri — Aristofane Cabaret, seconda parte della “Trilogia” la cui qualità, del resto, è stata riconosciuta lo scorso dicembre con l’attribuzione del Premio Ubu. Il progetto, […]

I Cavalieri. Aristofane Cabaret

Fa parte della “Trilogia sull’individuo sociale” lo spettacolo con cui Akròpolis inaugura il 2012 al Palamostre di Udine. È un ottimo inizio d’anno con I Cavalieri — Aristofane Cabaret, seconda parte della “Trilogia” la cui qualità, del resto, è stata riconosciuta lo scorso dicembre con l’attribuzione del Premio Ubu. Il progetto, ideato e realizzato da Mario Perrotta con la Compagnia del Teatro dell’Argine, descrive, in particolare con I Cavalieri, l’Italia dei nostri giorni con tutte le sue miserie e la galleria di politici, faccendieri, corrotti e corruttori, preti pedofili, escori, usurai, finanzieri… l’elenco sarebbe lunghissimo e riguarderebbe fatti e persone che tutti conoscono e che fanno indignare sempre la medesima parte della popolazione, mentre trovano indifferente, scettica, complice o perfino gratificata l’altra parte. Insomma chi ha voglia o coraggio di guardarsi attorno e soprattutto chi ha l’onestà di non negare l’evidenza non trova nulla di inedito nello spettacolo di Perrotta. Lo scandalo, semmai, sta nella gente che sembra disposta a ingoiare tutto senza alcun conato. È su questo versante che lo spettacolo vira, animato dall’utopia, dichiarata fallimentare in partenza, di far capire come stanno le cose e perché ci si abitua a convivere con la menzogna e la manipolazione. Perrotta non si esaurisce nella denuncia (sarebbe il già visto in decine di occasioni) ed esprime soprattutto il rammarico, la rabbia, lo sconcerto, la tristezza di chi si ritrova impotente a far accettare la verità più ovvia. Un simile approccio ai temi trattati restituisce il giusto peso a denunce inflazionate che riacquistano sapore perché veramente partecipate e condite con quella giusta dose d’ironia che la forma del cabaret consente. La battuta iniziale, “questo non è Aristofane”, sembra rivolta al filologo classico perché allo spettatore comune, sia pure digiuno di drammaturgia antica, è subito evidente che se il commediografo ateniese potesse descrivere l’Italia di oggi non direbbe cose gran che diverse da quelle dette e cantate dai sei bravissimi attori. Aristofane c’è (e come!), come un modello “rovistato e scorretto” nella forma e sostanzialmente rispettato e rigenerato nella sostanza. Una nuda struttura di tubi “innocenti”, microfoni ad asta oppure “gelati” e la musica in scena di Mario Arcari bastano agli attori per illustrare in quattro capitoli le numerose responsabilità e le insufficienze di tutti gli Italiani, compresi spettatori e teatranti. Le diverse flessioni dialettali suggeriscono che nessuna “piccola patria” può vantare la propria verginità e qualificarsi come eccezione alla deriva generale, tant’è che spesso, ora l’uno, ora l’altro dei cabarettisti dichiara di voler abbandonare per sempre quest’Italia insopportabile. La commedia di Aristofane dà lo spunto per il secondo capitolo dello spettacolo, “L’uomo nuovo”, in cui il popolo deve scegliere il proprio leader. Lo scontro fra Paflagone e il salsicciaio per la presidenza del consiglio ateniese si traduce in un talk show televisivo in cui si confrontano Berlusconi e Bersani (contaminato con Beppe Grillo) con i relativi stacchi pubblicitari gestiti dalle sorelle Badoglio. Ed è proprio la televisione presa particolarmente di mira perché strumento impiegato per rincretinire i cittadini con una miriade di programmi trash, la spazzatura di cui gli italiani sono sempre più ghiotti. Nel terzo capitolo la “Lisistrata” suggerisce alle donne lo sciopero del sesso per costringere gli uomini a fare meno “cazzate” in pubblico e in privato. Per quanto riguarda la dirigenza politica, un’altra commedia aristofanesca, “Le donne al parlamento”, assicura che il gentil sesso difficilmente si renderebbe artefice delle scempiaggini e della volgarità degli attuali parlamentari maschi e delle poche femmine presenti in aula perché, sotto sotto, anche loro sono uomini, o devono la carica a ragioni che il pudore consiglia di sottacere. L’ultimo capitolo riprende il primo, “Condominio Italia”, e termina con i sei attori (il volto mascherato alla maniera della Commedia dell’Arte) che mimano le azioni del mangiare, fottere, rubare, bere e schiattare defecando. A questo dovrebbe limitarsi la vita dei cittadini secondo i precetti della propaganda demagogica orchestrata da un potere irremovibile nel censurare e criminalizzare chi cerca di risvegliare la coscienza di un popolo ipnotizzato dal falso e dal non senso. Prolungati gli applausi.