Emigranti Espress
Lecce, Brindisi, Bari, Pescara, Ancona, Rimini, Bologna, Parma, Milano: queste le principali fermate in territorio italiano del treno “La Freccia Salentina” che in più di 30 anni di onorata carriera ha trasportato centinaia di migliaia di emigranti da Lecce a Milano e poi su fino a Stoccarda e Bruxelles. Nel 1980 Mario Perrotta aveva 10 anni e una volta al mese andava a Bergamo per farsi regolare l’apparecchio ai denti. Lui viveva a Lecce con la madre: il padre, professore di scuola superiore, lavorava a Bergamo. I suoi genitori, tra i pochi che hanno fatto il sessantotto nel tacco della penisola italiana, erano comunisti e separati e avevano concordato che per essere separati e contenti occorrevano almeno 1000 km di distanza tra di loro. Lecce-Bergamo sono 1085 km: distanza perfetta. L’apparecchio ai denti fatto da un dentista di Bergamo serviva anche a permettere al bambino di avere un rapporto costante con il padre. In tanti mesi di su e giù Mario incontra sul quel treno volti, persone, storie che stimolano la fantasia di un bambino e che, nel ricordo dell’adulto, diventano storia: la Storia dell’Italia del Sud che dopo la seconda guerra mondiale emigra verso il nord dell’Europa. Nel 1946 per esempio la neonata Repubblica Italiana e il suo governo guidato da De Gasperi aveva firmato un accordo con il ministro belga Van Hacker: manodopera in cambio di carbone, materia prima necessaria alla ricostruzione del paese. Il Belgio si impegnava a dare all’Italia 2500 tonnellate di carbone per ogni minatore italiano. Ma prima di arrivare da Lecce a Bruxelles il treno, nelle quasi ventiquattro ore di tragitto, si ferma in tante stazioni e “la sanguisuga a mille bocche”, come lo definisce Perrotta, mangia persone da ogni possibile orifizio: porte e finestrini, non vi è differenza né scelta preferenziale. Il treno parte alle 20:10 da Lecce e, siccome nel 1980 non esiste ancora la prenotazione del posto, l’unico modo per sperare di poter stare seduti fino a destinazione è quello di arrivare un’ora prima in stazione e di provare l’assalto al treno appena arriva al binario di partenza dal deposito. In 3 minuti l’assalto a futticumpagnu è finito, e la fiumana di gente è seduta al proprio posto generalmente in gruppi facilmente individuabili: famiglie, padri soli che ritornano al lavoro che li tiene lontani da moglie e figli, giovani studenti… e poi c’è lui, Mario, che viaggia da solo non senza, però, che la mamma abbia trovato una famiglia alla quale affidarlo. La famiglia viene scelta con cura: il principio selezionatore è la gratuità con cui si offrono di badare al bambino anche a costo di rinunciare ad un posto faticosamente ottenuto assaltando il treno. E così comincia il viaggio. E per Mario ogni volta è un viaggio nuovo e diverso: può cambiare identità, inventarsi una vita tutte le volte diversa per sé e per la sua famiglia. Ma soprattutto in ogni viaggio può guardarsi attorno e incontrare persone nuove che alla fine di quel lungo percorso sulla strada ferrata compongono il quadro di un’umanità straordinaria. La signora Ada con la figlia Rosa, il figlio Ronzinu (diminutivo di Oronzo, santo protettore di Lecce), la vecchia madre e il marito Antonio che non proferisce parola perché un incidente sul lavoro gli ha compromesso l’uso delle corde vocali. Il professore, così chiamato perché studente in Lettere che dopo una delusione d’amore ha deciso di andare a lavorare per un po’ di anni all’estero in miniera e, unico istruito tra molti quasi analfabeti, ha cominciato a scrivere lettere d’amore per tutti. E poi il minatore abruzzese con la pelle blu a causa del carbone penetrato nell’epidermide come un tatuaggio indelebile. Il minatore che domanda a Mario: “Tu lo sai quanto misura la testa? 20-22 cm. E’ poco meno dello spazio massimo a disposizione dei minatori che devono aprire nuove vene nella miniera. Al mattino si deve scegliere se mettersi di pancia o di spalle e poi tutto il giorno a scavare con le mani”. E ancora Ivan, il sindacalista, che spiega a Mario la partita sempre aperta tra la squadra dei comunisti e la squadra dei capitalisti utilizzando una perfetta metafora calcistica…
Emigranti Espress è il testo di un programma radiofonico dal medesimo titolo, andato in onda su Radiodue nel dicembre del 2006. È un’opera meritoria e certosina di ricostruzione storica, un piccolo scorcio su una delle tante facce dell’emigrazione, il risultato di molte interviste raccolte direttamente nelle piazze dei piccoli centri del Salento. Chiunque abbia preso quel treno partendo da Lecce e diretto verso nord non può non riconoscere e non riconoscersi in ciò che legge. L’uso della lingua dialettale è perfetto, a momenti magistrale, trasuda saggezza popolare e un misto di rassegnazione e voglia di combattere contro un destino che a tratti si crede segnato, a tratti si crede riposi nelle proprie mani. La contraddizione dell’essere sud è bene espressa: si ride e si piange nello stesso momento perché nella vita il dramma a volte porta con sé anche qualcosa di grottesco e comico. E allora si ride… con le lacrime.