Mario Perrotta

Liberazione

Le migrazioni viste da un bambino Il primo romanzo dell’attore Mario Perrotta L’autore ed attore Mario Perrotta (Lecce, 1970) si è imposto al pubblico ed alla critica teatrale con un dittico di spettacoli di affabulazione, Italiani cìncali (2003) e La turnàta (2005), dedicati al tema dell’emigrazione italiana nel secondo dopoguerra. E’ un universo, quello dei […]

Le migrazioni viste da un bambino

Il primo romanzo dell’attore Mario Perrotta

L’autore ed attore Mario Perrotta (Lecce, 1970) si è imposto al pubblico ed alla critica teatrale con un dittico di spettacoli di affabulazione, Italiani cìncali (2003) e La turnàta (2005), dedicati al tema dell’emigrazione italiana nel secondo dopoguerra. E’ un universo, quello dei migranti, che Perrotta ha conosciuto personalmente quando, ancora bambino, si recava in treno a Bergamo per far visita al padre, trasferitosi al Nord per motivi lavorativi. Proprio su questi treni l’attore ha conosciuto le vicende e le tragedie dei lavoratori meridionali costretti, nella miseria degli anni 50-60, ad emigrare per cercare lavoro nelle cave di carbone o nelle fabbriche del Nord Europa.
Per la preparazione degli spettacoli, tuttavia, ai ricordi d’infanzia (ed alle confessioni raccolte dagli occasionali compagni di quei lontani viaggi) Perrotta ha affiancato le testimonianze di conterranei che, direttamente o indirettamente, hanno vissuto 1’esperienza dell’emigrazione e che lo stesso attore ha intervistato tra il 2002 ed il 2003. Soltanto una parte di questo corpus di speranze e delusioni, di utopie di riscatto sociale e frustrazioni, è infine confluito nella produzione drammaturgica: la restante materia ha trovato espressione in una trasmissione condotta per Radio 2 ed ora in un volume edito da Fandango Libri, in commercio dal 20 marzo.
In Emigranti esprèss, Perrotta ha intrecciato le vicende raccolte durante la documentazione in una fabula d’invenzione, modulata sui dati dell’autobiografia: a radicare il racconto nel vissuto del performer concorre anche la riproduzione, nelle pagine iniziali del volume, di un documento ferroviario intestato ad un Perrotta ancora bambino. Per raggiungere il padre a Bergamo, Mario – voce narrante ed alter ego dell’attore autore è accompagnato alla stazione di Lecce dalla madre e da questa affidato ad una famiglia di emigranti, conosciuti sul treno dopo un’accurata indagine, affinché controllino il bambino fino a Milano, dove lo attende il padre: “Per tre anni siamo andati avanti così, una volta al mese, poi: mio padre se n’è tornato a Lecce […] Tre anni di viaggi però sono tanti. A quante facce diverse sono stato affidato, all’andata e alla turnàta. […] E quelle facce quante storie mi ribaltavano addosso […] Di quelle storie ne ho sentite centinaia di migliaia, milioni, diecimila addirittura. Tutte te le racconto”.
Ecco allora che l’Io narrante si rivolge direttamente al lettore, instaurando con questi un colloquio che per l’intera narrazione si alternerà alla rievocazione quasi in tempo reale, fermata per fermata del proprio viaggio verso Nord (da Milano, Mario ed il padre proseguiranno poi fino a Bruxelles per visitare una miniera ormai dismessa). Un viaggio fatto soprattutto di incontri con uomini e donne che in cerca di migliori condizioni di vita hanno lasciato l’Italia e si sono adeguati ai “lavori sporchi che i nordici europei non volevano fare più: la fabbrica, il contadino, lu fabbrecaturu (cioè il muratore), cammariere e minatore”. Sono questi stessi personaggi a svelare al piccolo Mario le proprie vicende: la signora Ada racconta dell’incidente sul lavoro che ha privato il marito della voce (eppure questi “gliel’ha detto al capocantiere che se non mettono le sbarre di protezione macari [i muratori] cascano, ma quello, tra che non capisce niente perchè parla solo tedesco e tra che li schifa a tutti l’operai stranieri perchè è tutta gente che “non vi va di lavorare e vi lamentate sempre invece di lavorare”, li lascia li a cantare sotto la pioggia, mattone sopra mattone, senza sbarre al secondo piano”; il minatore Michele svela il costo umano imposto alla società italiana dallo sviluppo e dal progresso, perchè nel dopoguerra il governo italiano vendeva al Belgio forza lavoro in cambio del carbone necessario ad alimentare l’industrializzazione del Paese; il sindacalista Tano spiega la lotta di classe ed il comunismo, lo sfruttamento capitalistico e la giustizia sociale, per mezzo di metafore calcistiche; Assunta e il postino Pinuccio raccontano di impossibili amori tra migranti.
Sono personaggi, quelli che Mario incontra sul treno, che mostrano “le facce di tutti gli emigranti, partiti da qualunque paese, in qualunque anno, per qualunque destinazione”: come per i profughi delle miserie e delle guerre di oggi, nei volti e negli sguardi dei compagni di viaggio Mario riconosce una certa aria sospesa, come “una espressione di viaggio perenne, come chi non sa più né da dove viene né dove sta andando”.