Presentazione Emigranti Esprèss
FIRENZE – Potrebbe essere il ragazzo della porta accanto. L’uomo sul pianerottolo al quale prestare il sale, lo zucchero. Niente trucchi per Mario Perrotta, bastano le sue parole affilate a rincorrersi in dialetto salentino, a creare la magia, a far restare sospesi. A bocca aperta come pesci ad attendere l’amo, un’altra storia. Teatro, radio, ora un libro. Mario è salentino, ha studiato a Bologna, negli ultimi anni ha parlato degli emignanti, i minatori in Belgio, “Italiani Cincali”, in Svizzera, “La turnata”. Poi ha aperto il cassetto personale ed ha tirato fuori la sua personale “Odissea” incentrata su un Telemaco, lui stesso, privato della presenza del padre. Ed ancora, adesso, con il libro “Emigranti Express” (Fandango Libri, 148 pp; 14 euro) dove si intrecciano le avventure, reali, vere, vissute, del piccolo Mario di dieci anni, che da Lecce sfiora tutta l’Italia in treno per raggiungere il padre, e le storie di tanti emigranti che prendevano lo stesso convoglio lasciando le famiglie nel tacco dello Stivale. Quattordici ore: Lecce, Brindisi, Bari, Pescara, Ancona, Rimini, Bologna, Parma, Milano, e poi più su, Zurigo, Stoccarda, Bruxelles. La barbetta di tre giorni. Mancino. Ti guarda dritto negli occhi. Affonda e li senti tutti i chilometri, si annusa la lontananza, si tocca pungente l’odore del distacco, il bagnaticcio delle lacrime, i vagoni sporchi, gli odori unti, le strette da apnea, i baci alla mamma, un carillon di rituali e liturgie, un valzer di solitudini nostalgiche. E la Madre-terra, il luogo di nascita, anche il più desolato e desolante, il più “fottuto” buco del mondo, rimarrà sempre casa, placenta. “Emigranti Express” deriva dalla trasmissione che per quindici puntate a cavallo tra il 18 dicembre ’06 e il 5 gennaio ’07 venne passata su Radio 2: “Avevo dieci anni. Guardavo, osservavo, spiavo, incameravo facce, separazioni, i lamenti ma anche la felicità, i sorrisi quando si aprivano i cestini con la cena preparata per plotoni d’affamati: le melanzane, le polpette, la pasta al forno, non potevi nemmeno immaginare che cosa non usciva da quegli incarti”. Anche Mario ha dovuto lasciare la propria terra: “Oggi il Salento è tutto pizzica e taranta”, dice un po’ polemico verso chi, forse, ha svenduto al turismo. Ogni capitolo del libro è dedicato ad una tappa del viaggio: “Il modo migliore per raccontare una terra è attraverso gli occhi degli emigranti”. Ed infatti il libro è il risultato di “centocinquanta ore di interviste che erano rimaste fuori dai miei spettacoli e che reclamavano di essere raccontate”. Racconta e sembra di sentire Mimì metallurgico. La stessa ironia amara, in bianco e nero. La scrittura è sgrammaticata. In fondo al libro il Glossario maccheronico salentino. “Tutto il mio lavoro vuole essere una riflessione sugli immigrati che vengono oggi da noi. Quando ho chiesto ad un ragazzo africano sul razzismo che subiva mi ha risposto che uno schiavo quando avrà la libertà cercherà sempre di schiavizzare qualcun altro”.