Mario Perrotta

Sipario

Pare che i personaggi in scena siano quattro e invece sono tredici. Quattro reali, cinque in video, quattro in audio. I quattro reali sono dei figli di varie età, dai 20 ai 50 anni che vivono nell’appartamento in affitto del più maturo Gaetano (Mario Perrotta), cui gli altri tre contribuiscono con una quota mensile. Alle […]

Pare che i personaggi in scena siano quattro e invece sono tredici. Quattro reali, cinque in video, quattro in audio. I quattro reali sono dei figli di varie età, dai 20 ai 50 anni che vivono nell’appartamento in affitto del più maturo Gaetano (Mario Perrotta), cui gli altri tre contribuiscono con una quota mensile. Alle prime sembrerebbe che si siano affrancati dai genitori, vivendo quasi in comune in uno spazio privo di pareti, quasi come in quel film di Lars von Triers, Dogville (2003), occupato da quattro agili seggiolini ferrosi, simili a dei volatili lacustri, e da tre schermi su cui appaiono spesso le facce certamente non contente dei familiari, che vedono vivere i propri figli in modo strano, sentendosi disarmati e superflui. Il 38enne Ippolito (Matteo Ippolito) spirito da bohemienne, vive in quella casa da almeno 18 anni, ama le canne e la lasagna di mamma (quella di Paola Roscioli che si esprime in un milanese niente male) che gli lava e stira pure la sua roba, fa l’amore-senza-amore con Aurora (Dalila Cozzolino) ed è alla ricerca di qualcuno che gli produca un suo film scritto dopo tre anni, lasciando attonito il padre (Alessandro Mor). Il 25enne Melampo (Luigi Brignone) vuole e ottiene il monopattino da duemila euro dal colorito padre napoletano (Arturo Cirillo), che non ama gli anglismi, aspira a laurearsi in Graciologia e vuole organizzare una grande marcia al Polo Nord di cui ha tracciato il percorso, per occuparlo. La 33enne Aurora (la Cozzolino appunto) è una giovane avvocato, definita da Gaetano la “Perla mediterranea d’Oriente” e dalla sorella Luna (Marta Pizzigallo) la “Principessa sul pisello”, rampognata spesso perché non rientra a casa e perché fa sesso con un tale come Ippolito che invece che a pensare al cinema dovrebbe dedicarsi a fare video di matrimoni, compleanni, battesimi e settimane della moda. Aurora cerca di mettersi in contatto con la madre-giudice che non le risponde, vorrebbe vivere con Ippolito in un’altra casa e i litigi con la sorella vengono definiti dallo stesso Melampo quali saghe popolari buone per delle serie televisive. Infine il 53enne Gaetano di Mario Perrotta (oltre che autore e regista dello spettacolo pure curatore di luci e scene) che qui interpreta un dandy omosessuale, avvolto da un’ampia vestaglia damascata alla maniera di Oscar Wilde, colto a bere calici di vino bianco e beveroni caldi sul proscenio del Teatro assieme alla Cozzolino nei momenti di fuori scena e quando invece entra nel vivo fa sentire la sua presenza di leader del gruppo, definito dallo stesso Melampo il “profeta del nuovo mondo”, un personaggio che vive come un guru dando consigli a pagamento per telefono ai suoi deboli e indifesi clienti, soddisfatti poi di chiudere le chiamate di quei personaggi appellati come “Sofferto Torino”, “Bastapoco” o “Sospiro romano”. Le voci sul filo son quelle di Marica Nicolai, Paola Roscioli, Maria Grazia Solano, mentre più significativa, per entrare meglio nel carattere di Gaetano, è la dolce vocina del cugino Saverio (Saverio La Ruina), che gli telefona da almeno trent’anni, dandogli notizie del padre, addolorato perché ha un figlio gay e della madre che non gli parla, piange senza mai profferire verbo. Ha il cruccio di non avere un compagno fisso, esce una volta alla settimana, 52 volte l’anno per fare la spesa per tutti e sbava nei confronti di “Tatuaggio selvaggio”, un tipo che lavora al supermercato che Gaetano vorrebbe diventasse il suo terzo mondo, la sua FAO, la sua Amnesty International. Lo spettacolo di Perrotta sembra confermare che i figli rimangono sempre figli, a qualunque età e dimensione. Ciò che risalta in particolare nell’interessante e godibile spettacolo di 85 minuti, pure con alcuni brani musicali cantati e danzati dai quattro bravi protagonisti, molto applaudito alla fine dagli spettatori del Teatro Astra di Vicenza, è che i figli anche se distanti dai propri genitori tendono sempre a restare incollati a loro in qualche modo e per i motivi più disparati. «Una delle grandi mutazioni antropologiche del nostro tempo – chiarisce Massimo Recalcati consulente alla drammaturgia del testo – riguarda la cronicizzazione dell’adolescenza. Se prima la giovinezza era legata alla pubertà e si concludeva con la fine dell’adolescenza, oggi l’adolescenza non è più il riflesso psicologico della “tempesta” psicosessuale della pubertà bensì una condizione di vita perpetua che tende a cronicizzarsi». Con Dei figli si conclude così la trilogia In nome del padre, della madre, dei figli in cui Mario Perrotta con l’ausilio del Teatro ha provato “a ragionare su questa strana generazione allargata di “giovani” tra i 18 e i 45 anni che non ha intenzione di dimettersi dal ruolo di figlio. Non tutti, per fortuna, e non in ogni parte del mondo. Ma in Italia sì, e sono tanti». –