Mario Perrotta

Sipario

Tutti rigorosamente in «vestaglia», agli arresti domiciliari della vita, dialogano in interminabili videochiamate con i genitori, un dialogo alla distanza esilarante e tristissimo al tempo stesso che somma debolezza a debolezza, comodità a pigrizie emotive sia da parte dei figli che dei genitori. Perrotta non dà giudizi, né fa la morale, ma presenta, espone tutto […]

Tutti rigorosamente in «vestaglia», agli arresti domiciliari della vita, dialogano in interminabili videochiamate con i genitori, un dialogo alla distanza esilarante e tristissimo al tempo stesso che somma debolezza a debolezza, comodità a pigrizie emotive sia da parte dei figli che dei genitori. Perrotta non dà giudizi, né fa la morale, ma presenta, espone tutto con disperante oggettività. E allora Paola Roscioli e Alessandro Mor sono i genitori di Ippolito, uscito di casa ma che dipende in tutto e per tutto da mamma e papà; Arturo Cirillo e Maria Grazia Solano sono i genitori di Melampo, lui succube della moglie, entrambi innamorati del figlio da incoraggiarlo ad andare ma al tempo stesso senza mai veramente dargli il la. Marta Pizzigallo è la sorella minore di Aurora, portavoce di una madre assente. Gaetano di Perrotta usa lo schermo per fare incontri sexi e sfoggiando una virilità fasulla consolando donne in crisi. Ma è la voce di un uomo – Saverio La Ruina – a ricordargli di un padre lontano che non ha mai accettato l’omosessualità del figlio. Perrotta costruisce una drammaturgia polifonica che dietro un’apparente oggettività brucia di dolore e di angoscia e lascia tutto e tutti un po’ impietriti. Al racconto si affianca – potente – la forma che vede gli attori in scena dialogare in presa diretta con i genitori in video: ciò che accade è che la parola e la gestualità di chi è sul palco assumono una sorta di secchezza e di ritmo che non concede sbavature perché non può che sottostare alla tirannia del girato. Ne fuoriesce un cortocircuito estetico: l’apparente realismo del racconto si scontra e si confronta con la secchezza di un dire straniato, eterodiretto. Ciò crea quel senso di empatica distanza che lascia spiazzati gli spettatori e li manda a casa con un senso di impotenza che fa riflettere. 

Tutti rigorosamente in «vestaglia», agli arresti domiciliari della vita, dialogano in interminabili videochiamate con i genitori, un dialogo alla distanza esilarante e tristissimo al tempo stesso che somma debolezza a debolezza, comodità a pigrizie emotive sia da parte dei figli che dei genitori. Perrotta non dà giudizi, né fa la morale, ma presenta, espone tutto con disperante oggettività. E allora Paola Roscioli e Alessandro Mor sono i genitori di Ippolito, uscito di casa ma che dipende in tutto e per tutto da mamma e papà; Arturo Cirillo e Maria Grazia Solano sono i genitori di Melampo, lui succube della moglie, entrambi innamorati del figlio da incoraggiarlo ad andare ma al tempo stesso senza mai veramente dargli il la. Marta Pizzigallo è la sorella minore di Aurora, portavoce di una madre assente. Gaetano di Perrotta usa lo schermo per fare incontri sexi e sfoggiando una virilità fasulla consolando donne in crisi. Ma è la voce di un uomo – Saverio La Ruina – a ricordargli di un padre lontano che non ha mai accettato l’omosessualità del figlio. Perrotta costruisce una drammaturgia polifonica che dietro un’apparente oggettività brucia di dolore e di angoscia e lascia tutto e tutti un po’ impietriti. Al racconto si affianca – potente – la forma che vede gli attori in scena dialogare in presa diretta con i genitori in video: ciò che accade è che la parola e la gestualità di chi è sul palco assumono una sorta di secchezza e di ritmo che non concede sbavature perché non può che sottostare alla tirannia del girato. Ne fuoriesce un cortocircuito estetico: l’apparente realismo del racconto si scontra e si confronta con la secchezza di un dire straniato, eterodiretto. Ciò crea quel senso di empatica distanza che lascia spiazzati gli spettatori e li manda a casa con un senso di impotenza che fa riflettere.