Mario Perrotta

Avvenire

I “figli” di Perrotta nella gabbia di casa Dopo “In nome del padre” e “Della madre” l’attore e regista racconta l’ultimo atto della sua trilogia familiare: «Siamo tutti vittime di una pesante regressione relazionale»   Sono passati dai figli che, pur avendo ormai da anni superato la maturità, restavano prigionieri nel calduccio del focolare domestico, […]

I “figli” di Perrotta nella gabbia di casa

Dopo “In nome del padre” e “Della madre” l’attore e regista racconta l’ultimo atto della sua trilogia familiare: «Siamo tutti vittime di una pesante regressione relazionale»

 

Sono passati dai figli che, pur avendo ormai da anni superato la maturità, restavano prigionieri nel calduccio del focolare domestico, ai rampolli alla soglia degli “anta” che di casa sono usciti ma vivono in un’ipocrita finta indipendenza con i genitori, complici carcerieri, che li ingabbiano e ne ingoiano la borghese autonomia. Questa deprimente e inquietante regressione relazionale e sociale viene perfettamente fotografata da Dei figli, terzo capitolo di una trilogia di Mario Perrotta avviata nel 2019 con In nome del padre, poi Della madre. Evidente l’urgenza artistica dell’autore e attore leccese di affondare il suo sguardo, sempre saldo e saggio, sulla famiglia e sui rapporti affettivi di quella che il sociologo Massimo Recalcati definisce una “cronicizzazione dell’adolescenza”. Il problema delle famiglie è ovviamente complesso e Perrotta saggiamente non si perde in svariate narrazioni o attitudini e sociologiche, per quanto sia avvalso della consulenza drammaturgica dello psicanalista Massimo Recalcati, fa ciò che un teatrante in questo caso dovrebbe: individuare e ricostruire figure paradigmatiche, creare dialettiche sintetiche e significative, sollevare questioni indelebili scomode e spesso occulte, muovere e commuovere. Connotati e obiettivi tutti più e meno raggiunti in Dei figli, che non a caso ha uno “sottotitolo”. Uno di verità: “Il primo studio italiano che possa risolvere la problematica della minore autonomia dei figli da un punto di vista sia medico che sociale”.

 

Un’opera di teatro civile insomma che affronta un tema centrale della nostra società con lo sguardo ironico e scanzonato del clown sofferente, come lui stesso si definisce. Lo spettacolo, frutto di una doppia sessione di residenze artistiche a Tuscania e Lecce, vede in scena quattro attori alle prese con il dramma di un’ipotetica famiglia borghese. I protagonisti sono il padre, interpretato da Mario Perrotta, e tre figli ormai adulti, senza lavoro, che vivono ancora a casa con i genitori. Un quadro sociale desolante, una fotografia impietosa di un’Italia in cui i legami familiari si trasformano spesso in catene soffocanti.

 

La pièce si svolge in un appartamento, dove i quattro personaggi si confrontano, litigano, si amano e si odiano, cercando di trovare una via d’uscita dalla gabbia domestica. I dialoghi sono serrati, incisivi, a tratti divertenti, ma sempre intrisi di una profonda amarezza.

 

L’obiettivo di Perrotta è chiaro: scuotere le coscienze, far riflettere il pubblico sul tema dell’autonomia dei giovani e delle responsabilità dei genitori. La sua denuncia è forte, ma non priva di speranza: c’è la possibilità di cambiare, di migliorare le relazioni familiari, ma solo se si è disposti a mettere in discussione le proprie convinzioni e a fare un passo indietro per il bene comune.

 

Lo spettacolo ha ricevuto numerosi applausi e consensi, confermando ancora una volta la capacità di Perrotta di affrontare temi complessi con intelligenza e sensibilità. Dei figli è un’opera che non lascia indifferenti e che invita a guardare con occhi nuovi le dinamiche familiari, in un’Italia che ha bisogno di ritrovare se stessa e i suoi valori più profondi.