[…] Siamo in un limbo esistenziale e generazionale nel quale si avvitano su sé stesse le diverse declinazioni di una adolescenza cronicizzata, secondo la puntuale definizione di Massimo Recalcati, consulente alla drammaturgia. Una adolescenza allargata che accomuna l’incompiutezza di tutti i personaggi in scena, anche se il più giovane è intorno ai vent’anni e il più vecchio è quasi cinquantenne. Quest’ultimo si chiama Gaetano (lo interpreta con misurata ironia Perrotta, che non si perita anche di cantare) e accoglie nella propria casa, per una pigione poco più che simbolica, dei giovani che, in cambio, devono solo raccontargli ogni sabato le loro storie personali. Gaetano è un omossessuale depresso, un dandy pantofolaio. Come i suoi inquilini, vive quasi recluso nell’appartamento e si nutre dei loro racconti perché non sa vivere liberamente la propria sessualità. Come loro, insomma, non ha saputo superare lo stato di minorità, emanciparsi dalla famiglia, diventare adulto. Arrotonda come può: le entrate e i sentimenti. Cioè compensa la propria inadeguatezza con il potenziale represso delle vite altrui. Sempre in vestaglia da camera, ogni tanto prova qualche canzone pop, si lancia perfino nella disneyana I sogni son desideri.
Pochi elementi di design arredano l’appartamento. «Una casa fluida, come le vite che vi abitano», dichiara Perrotta. Le stanze senza muri si offrono allo sguardo dello spettatore come a quello dei familiari dei tre “ragazzi” che incombono da altrettanti grandi monitor. Nelle videochiamate conosciamo la sorella di Arianna (Marta Pizzigallo) i genitori di Melampo (Arturo Cirillo e Maria Grazia Solano) e quelli di Ippolito (Paola Roscioli e Alessandro Mor). Quando non sono smorzati dal ralenti, o messi in stand by, i loro interventi registrati determinano una partitura alla quale si devono attenere gli attori dal vivo, rispondendo con precisione millimetrica ai colleghi virtuali in un fitto dialogato molto efficace. Le interpretazioni registrate sono la forza dello spettacolo (in particolare Cirillo).
Dei giovani attori in scena la più convincente è Dalila Cozzolino; rischia l’esuberanza Luigi Brignone, mentre il personaggio di Matteo Ippolito sembra in cerca di definizione. Gaetano muove i fili del teatrino domestico. Intrattiene al videotelefono donne masochiste, mogli insoddisfatte, madri in crisi. Sempre a pagamento. E periodicamente parla anche con il cugino Saverio, rimasto l’unico legame con la famiglia d’origine. È lui che gli darà la notizia della morte del padre. Quel padre che lo ha sempre rifiutato, un altro padre assente, incongruo, anacronistico, come i tanti padri fantasmatici evocati in questa trilogia di Perrotta.
Gli interlocutori hanno le voci registrate di Saverio La Ruina, Marica Nicolai, Paola Roscioli e Maria Grazia Solano. I quattro personaggi in scena si moltiplicano dunque nel corso dello spettacolo diventando tredici profili diversamente irrisolti dello stesso devastato volto della famiglia oggi. In questo senso, Dei figli (basta un accento e la preposizione diventa sostantivo, a indicare le fragili divinità che egemonizzano il sistema psicologico familiare) richiama e compendia tutte le figure e le relazioni messe in campo nel progetto. E l’adolescenza si presenta come una dimensione atemporale. Non più un’età di mezzo, una stagione (inventata) della vita, ma una condizione dello spirito, uno stato di incoscienza permanente.
Il finale resta aperto: riusciranno gli ospiti della casa a trovare la forza di uscire dallo stallo? Ritroveranno “lo splendore e l’audacia” della giovinezza o resteranno impigliati in questa rete di relazioni morbose? E Gaetano che non potrà più essere l’eterno figlio? Uscirà dal suo ruolo, comodo e marcescente, di vittima innocente e inconsolabile?
Lo spettacolo è il più ambizioso e complesso della trilogia. Amaramente comico […]