Mario Perrotta

Gagarin Magazine

All’inizio il monologo di Mario Perrotta (dopo alcuni spettacoli d’ensemble è tornato magistrale solitario al posto di comando) si chiamava (S)Calvino poi cambiato nel ben più d’impatto Come una specie di vertigine (prod. Permar, ERT Teatro Nazionale) e prende le mosse da La giornata di uno scrutatore appunto di Italo Calvino del quale quest’anno si festeggiano i cento anni dalla nascita. Il narratore leccese prende […]

All’inizio il monologo di Mario Perrotta (dopo alcuni spettacoli d’ensemble è tornato magistrale solitario al posto di comando) si chiamava (S)Calvino poi cambiato nel ben più d’impatto Come una specie di vertigine (prod. Permar, ERT Teatro Nazionale) e prende le mosse da La giornata di uno scrutatore appunto di Italo Calvino del quale quest’anno si festeggiano i cento anni dalla nascita. Il narratore leccese prende un personaggio del romanzo (scritto dal ’53 al ’63, altre ricorrenze, nato da vicissitudini autobiografiche) che è ricoverato al Cottolengo, ospedale psichiatrico che raccoglie minorati mentali e fisici. Perrotta (che somiglia sempre più a Ben Affleck) ha sistemato la sua impalcatura meccanica proprio davanti ad un albero di ginepro di 400 anni sorto con le radici dentro un tempio nuragico che ancora mostra la canaletta di scolo per far defluire l’acqua usata all’interno della sala per le funzioni religiose. È uno scranno metallico, un telaio, una sorta di vecchia sedia da barbiere, quasi una macchina anni ’60 con i fari sotto ad accecare il pubblico. Se ne sta lì sopra come aquila nel suo nido, con giacca di paillettes da dj, capitano di una nave o marconista sulla sua torre le lunghe dita celesti nell’aria o marinaio dentro la coffa ad urlare Terra con tutta la gola. In quest’ora, intervallata dalla struggente Il mondo di Jimmy Fontana, Perrotta diventa i pensieri di un corpo deforme ma soprattutto immobile, si fa parola per chi parola non ce l’ha mai avuta e dà spazio ai suoi pensieri, terreni, semplici, vivi, carnali, sul suo piccolo mondo sempre uguale, che purtroppo non gira mai, sulle suore che lo accudiscono, sull’amore che vorrebbe ricambiato, sui suoi compagni di sventura. È un pezzo che strappa la pelle, uno scritto di rara sensibilità che ci fa sentire piccoli e stupidi nella fortuna che ogni giorno diamo per scontata nelle nostre lamentele e falsi problemi. Un nano bloccato fisso a letto a bocca aperta riesce a scuoterci con le sue parole di impotenza ma ugualmente di ottimismo, lo sforzo, i patimenti, la disabilità nella lucidità, l’impossibilità, l’impotenza. Io non sono libero dice, oppure Volere è potere per me non vale. Sono tutti schiaffi alle nostre piccole grandi depressioni, alle nostre ansie, alle nostre divagazioni sul tema per perdere o ingannare il tempo. È inchiodato al letto come lo è Perrotta a questa struttura, che lo contiene come ammiraglio alla plancia di comando dell’USS Enterprise di Star Trek, come Achab alla ricerca di se stesso e sentiamo sulla nostra pelle i chiodi nella carne della crocifissione, l’empatia che riesce a trasmettere, tormento idilliaco, in forma esaltante quando rappa di un turbinare di elenchi di parole (sembra un testo di Jovanotti) che è guerriglia ed enfasi, che è sturm und drang e sullucchero holdeniano, che è Paradiso e benedizione lancinante, flusso che ci soverchia e annega di un sorriso che ci scuote. Perrotta non ha mai smesso di raccontare gli ultimi, i marginali, i periferici. È una festa della parola e della scrittura, un urlo contro Dio, una bestemmia celestiale di questi esseri umani puri mummificati dentro corpi di sasso. Come una specie di vertigine ci regala spaesamento, un capogiro di sentimenti contrastanti, uno smarrimento, persi tra la bellezza dell’ascolto e la crudezza del significato, lasciandoci alla fine naufraghi impazienti e intontiti in quest’ultimo fermo immagine di un Perrotta caravaggesco ora testa di Oloferne, adesso testa di Medusa o Ragazzo morso da un ramarro. Non può lasciare indifferenti, ti prende, ti shakera, ti mette sottosopra, ti capovolge, ti agita, ti rivoluziona, ti colpisce in pieno, ti turba, ti disorienta, ti confonde, ti sconvolge.