Mario Perrotta

Libertà

Bouvard e Pécuchet nella “trappola” di Internet Fucina di sperimentazioni, di linguaggi e modalità creative eterogenee, in costante equilibrio fra vocazione internazionale e omaggio alle radici popolari del territorio pugliese, il festival teatrale “Castel dei Mondi” di Andria, giunto alla quindicesima edizione e diretto con intelligenza da Roberto Carbutti, si rivela sempre più contenitore prezioso […]

Bouvard e Pécuchet nella “trappola” di Internet

Fucina di sperimentazioni, di linguaggi e modalità creative eterogenee, in costante equilibrio fra vocazione internazionale e omaggio alle radici popolari del territorio pugliese, il festival teatrale “Castel dei Mondi” di Andria, giunto alla quindicesima edizione e diretto con intelligenza da Roberto Carbutti, si rivela sempre più contenitore prezioso di offerte teatrali curiose, eccentriche, talvolta spiazzanti. Dove, insomma, il teatro contemporaneo può specchiare la sua estrema vitalità pur in tempi di crisi.
Ma se dovessi rintracciare nel variegato calendario di spettacoli visti (talvolta agli antipodi come modalità creative e di linguaggio) un motivo generalizzato di riflessione, lo troverei in quel senso di solitudine e di disagio esistenziale che pervade l’uomo di oggi. (…)
La proposta forse più interessante del festival arriva proprio in coda alla rassegna (non a caso il titolo Atto finale – Flaubert). Si tratta di una rielaborazione- riscrittura di Bouvard et Pecuchet, capolavoro incompiuto di Flaubert, ad opera di Mario Perrotta, qui in veste anche di regista e interprete, che chiude così la sua “Trilogia sull’individuo sociale” composta anche dal Misantropo di Molière e dai Cavalieri di Aristofane, proposti nelle stagioni scorse. Occorre dire subito che questa operazione presentava un grado di “pericolosità” molto elevato. C’era il rischio di perdersi tra le volute di un linguaggio di ricercata formalità e di restare impigliati nella fitta ragnatela degli episodi, così tanti da diventare, nel lavoro di Flaubert, una sorta di caustico, ironico, meraviglioso abbecedario della stupidità umana. Un pericolo non scongiurato, per esempio, in altri allestimenti. E invece Perrotta che fa? Utilizza una chiave di lettura sorprendente, spiazzante, ma al tempo stesso decisamente efficace per restituirci il cuore del pensiero flaubertiano. Bouvard e Pécuchet, interpretati rispettivamente dallo stesso Perrotta (con accento leccese) e Lorenzo Ansaloni (che si avvale invece di una parlata bolognese) da bizzarri impiegati parigini sommersi nello studio di montagne di libri alla disperata ricerca delle ragioni della vita diventano qui due internauti solitari armati di tastiera impegnati a rincorrere i significati della propria esistenza attraverso le pagine del web. Sulle loro sedie, con i volti resi grotteschi dalla biacca, agghindati con livree sdrucite, con tanto di pancione, i due “pestano” compulsivamente sui tasti e dialogano “assurdamente” tra loro interrogando la Rete, un gigantesco schermo che domina la scena su cui scorrono le loro immagini speculari e le schermate delle interrogazioni Google (geniale). Dio, Cartesio, Einstein, Facebook, tutto si mescola in un’ansia ricercatrice online mai doma che lascia i due impotenti di fronte al mistero della vita, incapaci persino di suicidarsi. Siamo nel 2060, in un mondo che assomiglia tanto ad una landa beckettiana. Ecco, Perrotta sembra dire: per capire Flaubert mi sono rivolto al profeta dell’incomunicabilità. E i suoi assurdi scrivani potrebbero essere proprio Vladimiro ed Estragone calati in un film dell’epoca del muto. Accanto ai due protagonisti, da ricordare le due presenze mute di Paola Roscioli, improbabile servetta che canta la Piaf (bene) senza riuscire a “distrarre” i due, e Mario Arcari, musicista di razza, qui impegnato al piano nelle Variazioni Goldberg. Spettacolo intelligente, maturo, denso di significati, ottimamente interpretato, che vorremmo rivedere in qualche teatro “altolocato” a fronte, spesso, di proposte deludenti.