Pitùr

Pitùr

«Perrotta sceglie un approccio quasi da teatro danza,
un approccio fluido per cercare di catturare, di evocare il movimento dell’anima e dell’immaginario di Ligabue
attraverso le azioni danzate di sette bravi attori»

Magda Poli, Corriere della Sera

Corriere della Sera

Musica e colori per i tormenti di un pittore

Dopo Un bès, palpitante ritratto tra disegno e parola di Antonio Ligabue, artista dalla natura selvaggia, svizzero tedesco di nascita, adottato dalle nebbie e dalle calure della Bassa Padana, Mario Perrotta presenta Pitùr (il 16 al Festival Territori a Bellinzona) la seconda tappa del progetto dedicato al pittore, una partitura in movimento su musiche di Mario Arcari.
Perrotta sceglie un approccio quasi da teatro danza, un approccio fluido per cercare di catturare, di evocare il movimento dell’anima e dell’immaginario di Ligabue attraverso le azioni danzate di sette bravi attori, sette come i colori dell’arcobaleno. Seduto di lato all’interno di una cornice, Ligabue-Perrotta smozzica con intensità i suoi pensieri, le sue emozioni, le sue riflessioni; e gli attori, vestiti di bianco e spostando candide tele bianche alte quanto un uomo, creano e cancellano azioni mentre il bianco si colora di frammenti di quadri, animali selvaggi, galli e galline, donne desiderate, paesaggi interiori, incubi di una vita tormentata che l’arte trasforma in fantastiche visioni. Mario Perrotta è un quadro parlante che alla fine si fonderà con gli attori, con i pensieri e le sensazioni in movimento nella mente del pittore in un fluire sincopato. Una sorta di aspro monologo interiore (con figure) che racconta di Ligabue, della sua indole, dei suoi stupori, del rapporto dei colori da opporre al bianco della follia, ma soprattutto, e con forza, della sua solitudine e dell’esclusione, angosciose compagne di tutta una vita. Un commovente, inquietante ritratto di “Al matt”, come veniva chiamato Ligabue, meglio, un autoritratto d’artista solo, “con la faccia da strappo per vedere se sotto ce n’è un’altra”.

Sole 24 Ore

Primavera dei Teatri

A dispetto della pluralità dei linguaggi che si è imposta in questi anni, il programma di «Primavera dei Teatri» – la vivace rassegna di Castrovillari, che apre la stagione dei festival – è stato caratterizzato soprattutto dalla scrittura nelle sue varie forme, con alti e bassi che ben riflettono il momento di incertezza della scena contemporanea […]
Mario Perrotta aveva proposto qui il suo primo «studio» su Ligabue, che gli è valso il premio Ubu come miglior attore. Pitur, seconda tappa del progetto, è un approccio più prettamente coreografico: lui scandisce al microfono frasi smozzicate – un delirio dall’andamento puramente ritmico – mentre sette figure in tenuta bianca da istituto psichiatrico danzano situazioni legate alla solitudine di Ligabue, al suo spiare le ragazze. In questa poetica variazione sul tema spicca la bella musica di Mario Arcari, che rielabora motivi da balera.

La Repubblica

Ligabue folle in camice bianco

Bianco come una camicia di forza e bianco come una tela pronta per tutti i colori del mondo, quelli che ribollivano nell’immaginario lussureggiante di Antonio Ligabue, a cui Mario Perrotta torna con il secondo movimento di una composita trilogia. Dopo Un bès, in equilibrio tra parole e gesto pittorico, ecco ora Pitùr (fresco di debutto alla Primavera dei Teatri di Castrovillari), che invece ha l’impianto corale di una partitura in movimento per sette performer e un maestro concertatore che di Ligabue è la voce (Perrotta), dentro uno spazio bianco disegnato da pannelli mobili di ombre e suggestioni video dove, tra Verdi e un liscio, sono i corpi a raccontare la solitudine dell’escluso e la potenza ferita dell’artista. Uno spettacolo inquieto e coraggioso.

l'Unità

Il teatro quotidiano Al festival di Castrovillari la condizione umana oggi

[…] L’amore casto per la donna, perché ormai – ho imparato ad amarmi da solo – – dice il Ligabue di quel potente narratore che è Mario Perrotta, che qui è la sua voce, – è il tema di Pitùr, il nuovo tassello del grande spettacolo che presto prenderà vita a Gualtieri. Quinte usate come schermi che ci rimando i colori, le immagini del grande pittore vengono mosse a vita da attori/danzatori vestiti di bianco, quasi una camicia di forza per evocare il manicomio dove l’artista fu rinchiuso con l’ouverture della Traviata che ritorna a folate, mentre l’ossessione del colore si trasforma nell’ossessione della mente. Palpita qui il senso profondo di un’esclusione con quello spiare fuori dalle balere la felicità degli altri, con quella lingua dive parole tedesche inseguono l’italiano personalissimo del grande pittore. […]

Doppiozero

Primavera dei teatri a Castrovillari

Si riempie di spettacoli ancora una volta, come sempre tra maggio e giugno, il protoconvento francescano spinto su uno sperone del paese di Castrovillari verso il Pollino giallo di ginestre. Per la quindicesima volta Primavera dei teatri porta in questo lembo nord della Calabria i nuovi linguaggi della scena italiana grazie all’intelligenza, alla curiosità, alla necessità di costruire un ambiente per la creazione artistica d’oggi nella regione forse più arroccata d’Italia, più lontana dai centri di cultura […]
Gli incubi di Ligabue
Non ci resta che ridere? Contraddice questa tendenza lo spettacolo più atteso del festival, Pitùr di Mario Perrotta, che ci sposta mentalmente sugli argini del Po, tra la fine della guerra e gli anni del boom economico, mostrando, per sprazzi poetici, per ossessioni, il mondo di Antonio “Toni” Ligabue, il matto, il solo, il deriso da tutti, l’inventore, con colore, con disegni che fermavano la furia il mistero la bellezza del mondo, di un’altra vita rappresentata in quadri detti naif. Questa, dopo Un bès. Antonio Ligabue, che ha fruttato a Perrotta il premio Ubu come miglior attore 2013, è la seconda tappa di un progetto in tre tempi di un artista coraggiosamente sperimentatore. Che non ha voluto ripetere la formula di successo del primo spettacolo, in cui raccontava la vicenda del pittore di Gualtieri di Reggio Emilia trasformandosi in lui, perfino dipingendo in diretta. Questa volta dai pannelli che compongono la scenografia balenano per suggestioni personaggi, minacce notturne e diurne, i paesani che deridono, che escludono, le donne che Ligabue desiderava tanto e che lo respingono. Poche le parole, molte le visioni, in un lavoro che forse senza il primo non ha una sua autonomia (ma forse no: bisognerebbe vederlo senza aver assistito all’altro), che sicuramente ha bisogno di rodarsi nel gioco d’insieme, anche per l’impegno fisico richiesto agli interpreti, che mimano, agiscono, sarabandano, manovrano, quasi danzano.
All’anteprima di Castrovillari si sentiva ancora qualche impaccio. C’è da ammirare il coraggio di Perrotta di esplorare nuovi territori e c’è da lasciarsi trasportare negli incubi, rappresentati in corpi, in immagini che raccontano senza parole Ligabue e un passato dell’Italia, tra l’acqua placida del fiume con i pioppi sugli argini, vespe, lambrette, caroselli, alta moda e manicomi, e da farsi prendere dalla colonna musicale di Mario Arcari, che tra Verdi, il liscio di Secondo Casadei e proprie malinconie ricostruisce un altro mondo dell’anima entusiasmante e straziante.
Quando baluginano quadri che raffigurano tigri ruggenti, aquile ghermenti, occhi di animali, piume, colori, e gli attori sembrano voler dare corpo a quei colori, a quelle grida e stupori di vita, lo spettacolo raggiunge i suoi momenti più forti. Ricostruisce veramente, per ellissi, per precipizi, una vicenda umana, un mondo, un’altra espressionista prospettiva […]

Rumor(s)cena

Ligabue “Pitùr” interiore dai colori bianchi

“Si dipinge col cervello e non con le mani” (Michelangelo)
“La più grande ragione del dipingere è che non c’è ragione di dipingere” (Keith Haring)
“Voglio dipingere la verginità del mondo” (Paul Cezanne)
CASTROVILLARI – Se nel primo capitolo della trilogia dedicata da Mario Perrotta a Antonio Ligabue, “Un bes”, era l’uomo ad emergere, con il solo narratore in scena con pennelli e grandi tele, in questo secondo passaggio, “Pitùr”,esplodono i fantasmi, le ombre, i pensieri tenuti nascosti, le idee. Il tutto prima della grande festa sulla piazza di Gualtieri, il paese adottivo del pittore, nel giugno 2015. Un protagonista nel primo, otto nel secondo (sette sulla scena, sette come i colori che compongono l’arcobaleno, più lo stesso Perrotta laterale), ottanta nel terzo, in una moltiplicazione biblica. L’otto con tutte le implicazione di numerologia che punta all’infinito, al salto con l’asta dell’uomo verso l’oltre, cercando la propria natura, la spiegazione al suo stato, al suo essere, al suo pensiero.
Nella mente, risolta scenicamente con un bianco latte che fa da fondale con pannelli moventi che creano un anfiteatro e semicerchio dove al suo interno si agitano attori e danzatori ognuno dei quali prende le forme e le sembianze e le parole e lo stupore di Ligabue. I bianchi sui bianchi si sprecano: bianche le giubbe ed i pantaloni, che ne fanno una “divisa” da internato, bianchi gli schermi, il tutto come un terreno vergine e pulito dove poter appendere, come panni al sole, i colori vermigli e pieni della natura, quelli accesi della lotta, quelli sfolgoranti e robusti di campagne e animali, quelli della vita.
La scena, raffinata e fine, poco popolare potremmo dire, sembra l’opposto di ciò che abbiamo sempre visto e letto e sentito e studiato riguardo al “pittore mat”. Se dentro il bianco domina fuori era assiepato ed assiderato ed accerchiato dai colori così accesi da essere violenti ed aggressivi. Come burattini si muovono al suo interno: “Il mondo è tutto una marionetta” (gancio e ponte teatrale) che rende vivi i dipinti e morti gli uomini che popolano quella sua realtà contaminata. Solo gli animali sono veri perché non riescono a fingere: sono quello che sono senza maschere: “La gente è tutta un manicomio”.
Le persone sono personaggi, nulla più. Pannelli che sono cerchio e recinto e arena e chiusura. Il mondo non ha fantasia senza il pennello del pittore che regala vita e profondità al reale. Nelle danze, ora che pare ricordare quelle balinesi, adesso tribali, il rimando, sublimato e poetico ed etereo, del Ligabue en travestì per cercare ispirazione, per cercare immedesimazione urlante, oppure si riescono a scorgere i tratti leggeri di galli e tigri nell’intento dell’aggressione difensiva.
Certamente un lavoro più intimo e difficile “Pitùr” che ci mostra un Perrotta che si fa da parte, anche se la sua presenza scenica è sempre folgorante e corposa: in disparte, come direttore d’orchestra rimane in un angolo dentro una cornice tra piccoli tocchi di dialetto, qualche didascalia di ossessioni ed assilli guardandosi allo specchio con gli altri Ligabue che arrivano al suo capezzale per confrontare l’occhio ed il mento, lo scavo del naso e l’infosso dello zigomo.

Krapp(s)Last Post

Di debutti e riconferme a Primavera dei Teatri

[…] Diretto e organizzato da Scena Verticale, il festival sui nuovi linguaggi della scena contemporanea ha ancora una volta rappresentato un assoluto punto di riferimento per meglio comprendere tutti i diversi percorsi che attualmente compie la drammaturgia italiana, diventando al contempo, soprattutto per il Sud, un cantiere di incontri e confronti tra artisti e compagnie di diversa estrazione e generazione […]
Mario Perrotta del Teatro dell’Argine a Castrovillari ci ha regalato la seconda perla della Triade teatrale dedicata al pittore Antonio Ligabue.
Dopo la bellissima “narrazione con pittura” di “Un bes” in “Pitur”, con grande generosità di mezzi e di intenti, Perrotta si fa accompagnare da sette compagni di avventura che sul palcoscenico creano, attorno alla sua voce, una coreografia di corpi in movimento, dove il bianco la fa da padrone. Un bianco arricchito da immagini d’epoca e da tenui bagliori dell’arte dello sfortunato pittore che testimonia, nella mancanza di ogni colore e nelle parole che Perrotta riversa sulla scena, tutta l’angoscia dell’esistenza di un’anima in perenne ricerca di un’identità (bellissima, in questosenso, l’ultima scena).
“Pitur” è ancora uno spettacolo fragile, che ha bisogno di essere ulteriormente rodato sulla scena, ma la scommessa di tutto il Teatro Dell’Argine ci intriga e ci piace […]

Rumor(s)cena

Ligabue, Gualtieri, la “follia” e “l’arte è salva”

GUALTIERI (Reggio Emilia) – La Padania, terra dove l’uomo si misura con una natura generosa ma anche impegnativa, capace di offrire sostentamento per la vita in cambio un impegno gravoso, e solo come sanno fare i contadini abituati a lavorare nelle campagne. Il paese di Gualtieri (in provincia di Reggio Emilia), è un luogo dove si respira ancora l’atmosfera di una vita agreste e semplice, contornata da un paesaggio di terra e acque, (ci scorre vicino il maestoso Po), luogo divenuto famoso per aver dato ospitalità ad un artista molto controverso, il cui successo è legato indissolubilmente a questo territorio: Antonio Ligabue (Zurigo 1899-Gualtieri 1965). La sua pittura descrive un mondo immaginario ed esotico che va ad amalgamarsi ai paesaggi in cui questo uomo sofferente per una vita trascorsa in gran parte in solitudine, racconta con una potenza espressiva senza paragoni.
Ed è proprio qui che il progetto del Teatro dell’Argine ITC di San Lazzaro di Savena (Bologna), in collaborazione con l’Associazione Teatro Sociale di Gualtieri, ha dato vita al “Progetto Ligabue – arte, marginalità e follia” , che vedrà nel mese di maggio 2015 il suo compimento finale, quando verrà messo in scena “Il paese e il Fiume – Gualtieri”. A capitanarlo è Mario Perrotta che ha debuttato di recente con Pitùr, (secondo movimento), dopo Un bès, (stagione del 2013). Tre movimenti ideati dall’attore pensati per indagare la marginalità e il significato della parola “confine”, focalizzato intorno alla figura di Ligabue, e al suo rapporto con i luoghi di vita: la Svizzera, nazione in cui è nato e vissuto fino ai 18 anni; il territorio di Gualtieri, le rive del fiume Po tra Reggio e Mantova.
Un atelier all’aperto dove l’artista dipinse la maggior parte dei suoi quadri e delle sue sculture. Nel 2015 Gualtieri diventerà un palcoscenico itinerante dove si esibiranno attori, musicisti, danzatori, video makers, artisti figurativi, come anticipa Mario Perrotta: “L’ultimo movimento del Progetto Ligabue vuole occupare Gualtieri e le sponde del fiume facendo esplodere in tutte le sue contraddizioni il rapporto tra il folle e il paese, partendo dalla piazza e invadendo il territorio intorno al fiume”. Non è un caso che Giovan Battista Aleotti, l’architetto che progettò la piazza, fosse noto all’epoca anche come scenografo teatrale. “La piazza del paese sarà il luogo di partenza per tre possibili percorsi, il palazzo Bentivoglio, il Teatro Sociale di Gualtieri e la sua prospettiva ribaltata, la golena, le due sponde del Po (…)”.
Rievocando le cronache del passato la storia ci riporta indietro nei secoli per ricordare come nasce il Teatro di Gualtieri, sorto all’interno del monumentale Palazzo Bentivoglio, una fortezza-palazzo, costruito tra la fine del 1500 e l’inizio del 1600. In origine fu chiamato Teatro Principe e la sua edificazione la si deve all’ ingegnere architetto Giovan Battista Fattori nel 1775. Un incendio causò l’oblio per molti anni fino a quando nel 1905 l’Amministrazione comunale decise di restaurarlo e ampliarlo. Battezzato con il nome di Sociale, riapre nel 1907 con l’inaugurazione di una stagione operistica di grande successo con l’allestimento della Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni e i Pagliacci di Ruggero Leoncavallo. Dopo un’epoca di successo il Teatro cessa la sua attività nel 1936 con la Norma di Bellini.
Negli anni Trenta entra il Cinema diventando il fulcro dell’attività teatrale e cinematografica della Bassa Reggiana. Lo stesso Ligabue era affascinato dalle pellicole che raccontavano storie esotiche, tanto da restarne ispirato nelle sue tele. La chiusura totale risale al 1979 fino a quando nel 2004 la Società del Teatro istituita nel 1905 per 99 anni cessa di esistere. Le previsioni sono infauste e il destino sembra aver deciso di mettere la parola fine. Se non accade lo si deve ai dei giovani ragazzi quando nel 2005 riaprono le porte del Teatro. Muniti di badili giorno e notte la popolazione si prodiga per riportarlo alla luce. Qui le cronache si fanno concitate: l’occupazione clandestina, la protesta per la ventilata decisione di metterlo in vendita all’asta. Le proteste degli abitanti, la ribellione collettiva, la reazione che permette di conservare un patrimonio artistico al suo legittimo proprietario: Gualtieri. L’arte è salva. Nasce l’Associazione Teatro Sociale di Gualtieri nel 2009 al fine di istituire un progetto artistico e culturale e promuoverne la sua riapertura e gestione.
La genesi di un successo straordinario. Il Teatro riapre grazie ad un lavoro di restauro conservativo capace di poter ospitare spettacoli teatrali con una soluzione originale: la scena si inverte spostando la scena dove in origine c’era la platea, mentre il pubblico viene fatto accomodare sullo spazio del palcoscenico. La notizia circola e Gualtieri diventa celebre in tutta Italia. L’associazione riesce a portare artisti e compagnie abituate ad esibirsi in celebri teatri e i riconoscimenti non tardano ad arrivare. Ed è qui che Mario Perrotta ha recitato per tre sere di seguito Pitùr insieme a Micaela Casalboni, Paola Roscioli, Lorenzo Ansaloni, Alessandro Mor, Fanny Duret, Anaïs Nicolas, Marco Michel.
Un frammento della difficile esistenza del pittore Ligabue. Anni in cui questo uomo introverso e visto con diffidenza dagli abitanti del paese, internato anche in manicomio a Reggio Emilia. La sua pittura risente di queste vicissitudini drammatiche e conflittuali a partire da se stesso verso la realtà che lo circondava. Testimoni ancora viventi raccontano di averlo conosciuto come è accaduto a Piergiorgio Chittolini e Gian Luca Torelli, depositari di molti ricordi e aneddoti. Storie in cui esce un ritratto di un uomo solo e incompreso ma dotato di un talento fuori dal comune […]
Ospiti del Teatro di Gualtieri in occasione della recita di Perrotta, si ha la fortuna di trovare esposti documenti e fotografie in un luogo della memoria, conservati gelosamente e con grande scrupolo da Arneo Nizzoli, (proprietario e chef della Locanda del Peccato – Ristorante Nizzoli” a Villastrada di Dosolo di Mantova). Un uomo proclamato “Imperatore della zucca”. Il suo ristorante è al centro del paese, sulla sinistra del Po, nel cuore della Padania, tra Mantova, Reggio e Parma, gestito insieme alla moglie Lina, i figli Dario e Massimo. Qui era di casa Cesare Zavattini estimatore della sua cucina, saporita e dai gusti decisi […]
Ideatore del Premio Suzzara insieme a Dino Villani nel 1948, la cui giuria nelle prime edizioni era composta da da galleristi, storici e critici d’arte ma anche da un operaio, un impiegato e un contadino. I premi erano costituiti da prodotti della terra e dell’artigianato.
Tra gli artisti premiati ci fu anche Ligabue, un pittore che realizzava autoritratti dallo sguardo denso di rimandi psicologici, le raffigurazioni del mondo animale nella sua ferocia primordiale […]
Quadri usati come persiane di legno per le finestre, trovati nei fienili e nelle stalle. Il pittore li regalava o li vendeva per pochi denari. Ora le sue opere sono stimate a cifre esorbitanti. I suoi colori che ora si possono ammirare anche a teatro con l’allestimento di Mario Perrotta dove la sua arte si mescola alla sua follia creativa, per farne un assemblaggio tra movimento corporeo in cui gli attori/danzatori sanno creare figure coreografiche che si mescolano alle proiezioni di tanti frammenti colorati scaturiti dal pennello di Ligabue, il bianco dei costumi e dei pannelli che celano i corpi, a segnare il confine tra normalità e “devianza”.
Ne esce un affresco vivente, un ritratto in movimento che si avvale di una drammaturgia su più livelli composta da Mario Perrotta, il quale ha ispirato le atmosfere musicali affidate poi al compositore Mario Arcari. Musiche celebri, arie operistiche, brani adatti per raccontare un universo così difficile da penetrare. Dall’ouverture del primo atto dalla Traviata è stata creata una versione originale trasformata in una musica da carillon. Per le scene del “Manicomio” è stato scelto un bordone (un effetto armonico o monofonico di accompagnamento in cui una nota o un accordo sono suonati in modo continuo per l’intera composizione, sostenuti o ripetuti) dal titolo “Fluorescences” di Penderecki, con sovrapposta la “Siciliana” dal concerto per oboe e archi di Domenico Cimarosa. La scena relativa a “Vado a cagare” ha come sottofondo una polka della tradizione emiliana intitolata “La disperata” con sovrapposto la sigla del Pinocchio di Comencini virata in maggiore. La “Balera” si anima grazie a “Lux eterna” del compositore Ligeti e la sovrapposizione del brano “Tramonto” di Secondo Casadei.
Una delle scene più suggestive e riuscite di Pitùr è quella delle Mondine, dove il canto popolare originale è stato composto da Perrotta in persona. Dietro le donne intente a raccogliere il riso Ligabue appare intento a masturbarsi (la sua condizione psico fisica gli impediva ogni forma di relazione con l’altro sesso) e la scelta musicale è caduta su una Giga (una danza ad andamento veloce in tempo ternario utilizzata come forma colta dell’omonima danza popolare) dalla partita per violino n.2 di Bach alterata e reiterata dal compositore Arcari. La storia di un pittore raccontata per immagini e musica, la recitazione diventa strumento per esprimere ogni forma di espressività. Il teatro della vita.
E l’anima di Ligabue ritorna nella sua Gualtieri dove ha lasciato un segno tangibile di un talento che ha origini ancestrali e travalica ogni barriera o “confine” come lo definisce il suo “alter ego” artistico Mario Perrotta: « (…) il bisogno di raccontare un conflitto a tre tra lo “svizzero” Ligabue, il suo paesaggio interiore e il paese di Gualtieri sulle rive del Po. La necessità di rimettere al centro la mia attenzione la marginalità, di indagare la follia creativa che cambia le prospettive delle cose e dei luoghi, concentrarmi sulla parola “confine”. Usare il fiume Po come confine e Ligabue per scardinarlo quel confine».

PAC - Magazine di Arte & Culture

Mario Perrotta: la crescita di un teatrante solitario (e) in compagnia

Il percorso artistico di Mario Perrotta è senz’altro un percorso di fatica ma anche di successo. Parliamo di un professionista dal tratto istrionico e creativo, con un talento da solista non comune, maturato in anni di gioventù di mestiere rubato alla compagnia di famiglia e sviluppatosi poi, con onesto impegno artigiano, in una Bologna dove pian piano l’artista ha coagulato attorno a sé una compagnia di con cui ha conseguito risultati nel complesso assai lusinghieri e non comuni, se pensiamo alle tante compagnie di emanazione familiare che da Nord a Sud popolano i teatri, ma per lo più con inclinazione provinciale […].
[…] Perrotta è una belva da palcoscenico, sente il pubblico in modo animale, lo capisci quando gode con gli occhi spiritati dell’attacco preciso di questa o quella base musicale, si asciuga le labbra con la mano, sorride compiaciuto e con il registro vocale e lo sguardo in giro per la platea inchioda tutti al suo racconto.
Questo stesso animale, nella dimensione plurale del secondo movimento del polittico teatrale dedicato al pittore Antonio Ligabue, dopo il grande successo del primo che recitava da solo, ritorna a proporsi come attore-regista con la sua compagnia in Pitùr, dove un Mario Perrotta un po’ Ligabue un po’ Kantor, fa da controcanto alla sua classe morta, al suo universo di disperati e soli, composto da Micaela Casalboni, Paola Roscioli, Lorenzo Ansaloni, Alessandro Mor, Fanny Duret, Anaïs Nicolas e Marco Michel. L’abbiamo visto l’altra sera in scena al Teatro La Cucina al Paolo Pini di Milano per Da vicino nessuno è normale, la rassegna estiva diretta da Rosita Volani, che ha ospitato il regista in residenza.
Tutti vestiti in pigiama bianco-manicomio, tutti soli gli interpreti, in alternanza fra momenti di fisicità teatrale, movimenti in sincrono con video proiezioni e giochi di luce, per raccontare gli esclusi. L’esperimento è un indubbia crescita rispetto a tutti gli ultimi lavori collettivi diretti da Perrotta, finalmente asciugato nella durata, coerente nel codice, sfidante e in alcuni momenti poetico. Ancora manca quel pizzico di costruzione drammaturgica collettiva capace di esaltare davvero i conflitti, di dare l’emozione costante, di non lasciare, come succedeva anche (e con più frequenza) nelle precedenti regie, in cui lo spettatore non di rado si trovava in una terra di mezzo dove la direzione appariva meno lampante di quanto non lo fosse nelle intenzioni artistiche. Tuttavia l’inizio e la fine dello spettacolo in particolare sono momenti assai intensi, con il finale che davvero lo porta ad una vetta poetica limpida. Nel mezzo ancora qualcosa da sistemare, forse in questo caso da aggiungere, per evitare di allungare troppo certe sequenze un po’ insistite.
Siamo, in ogni caso, ad un momento importante di maturazione di questo artista, sempre esaltante nell’uno contro tutti, che va perfezionando la sua capacità di direzione e lettura con la giusta cattiveria, e che sicuramente lavora a testa bassa, testardo, ma in realtà consapevole come pochi dei pregi e difetti dei suoi lavori, e capace di correggere il tiro, per indirizzarsi verso quell’essenzialità su cui forse anche l’esperienza genitoriale lo ha portato ora a riflettere con maggior consapevolezza.

Il Manifesto

Primavera dei teatri, note di scena a sud

Compie quindici anni Primavera dei teatri, ma la festa di compleanno non è solo della manifestazione calabrese, quanto dell’intero teatro italiano, che ogni anno a Castrovillari, alle falde del Pollino riunisce buona parte del teatro prossimo venturo. Ci sono anche nomi affermati e rinomati, ovviamente, ma risulta sempre meritorio per Scena Verticale, la compagnia organizzatrice, un fitto lavoro di scouting nei mesi precedenti alla ricerca di cosa c’è di nuovo o di interessante o di curioso, nel panorama del teatro italiano. Con un occhio particolare non solo all’età anagrafica dei teatranti «sotto osser-vazione», ma soprattutto alla loro originale «meridionalità», perché il sud culturale del paese riacquista qui una centralità che non possiede altrove.
Moltissimi quindi gli ospiti che si sono succeduti nelle sale del Protoconvento france-scano ai piedi del paese: per i più noti come per quelli misconosciuti, il pubblico non si è tirato indietro, e spesso è stato registrato in sala il tutto esaurito. A testimonianza che il lavoro, anche durissimo, di questi anni, ha dato i suoi frutti nella nascita e nello svi-luppo di un pubblico nuovo, vasto serbatoio del quale è costituito dall’università di Cosenza.
Molti degli spettacoli visti, pur ricchi di elementi apprezzabili, mostrano ancora una sorta di incompletezza «laboratoriale», come di un percorso narrativo che ha bisogno, di una ulteriore messa a punto. È il caso di uno degli spettacoli più attesi, quel Pitùr che costituisce il secondo momento della ricerca che Mario Perrotta va conducendo attorno a Antonio Ligabue e la sua pittura. L’anno scorso tutti erano rimasti catturati dal primo episodio, se così si può definire, Un bès, che pur nella forma di monologo dava alla storia del grande artista naïf toni di grande affettività, per quanto crudele. Questa volta invece a fianco allo stesso Perrotta sono parecchi i corpi in palcoscenico. Tutti vestiti di sotta-noni chiari, che da un lato evocano la istituzione manicomiale, e nello stesso tempo si fanno schermo per le belle immagini proiettate.
Ma la realtà psichiatrica prebasagliana finisce col «distrarre« dalla tragicità profonda di quella pittura, benché non manchino momenti di grandissima forza teatrale, come il canto d’amore feroce che tutti intonano sull’aria di una vecchia canzone delle mondine. Ora si aspetta la conclusione, col terzo episodio ambientato nella natìa Gualtieri, che porrà compimento a una grande saga, un grande spettacolo su un artista ingiustamente rimosso, che Perrotta è riuscito a recuperare e riproporre con il linguaggio di oggi […

Corriere dello spettacolo

La pittura di Ligabue protagonista del Festival di Castrovillari

[…] Ma le maggiori aspettative della serata erano rivolte a Pitùr, l’ultima creatura di Mario Perrotta, prodotto dal Teatro dell’Argine, con la collaborazione, fra gli altri, del comune di Gualtieri, l’ultima residenza del pittore Antonio Ligabue. Ho detto “aspettative”, perché chi aveva apprezzato Un bes, il lavoro dedicato lo scorso anno a questa figura, emblematica dell’emarginazione e della diversità, si aspettava una sorta di sequel. Perrotta, invece, ci ha spiazzato con una sorta di coreografia, ove si ritaglia una parte defilata di personaggio coro, interloquendo con altri sette performer (tre uomini e quattro donne) che manovrano a vista altrettanti pannelli sui quali si proiettano, ora immagini astratte, ora particolari di quadri del pittore. La musica spazia da Verdi ai classici contemporanei, a vecchie canzoni popolari. Ma l’invenzione di maggiore efficacia teatrale ed originalità creativa è quella in cui, sulle note ossessive di una giga bachiana, si evoca in modo trasparente ma delicato l’autoerotismo di Ligabue. Uno spettacolo che non spiega, non racconta, ma che ci restituisce poeticamente, con poche parole smozzicate in dialetto, ma specialmente con lo strumento dell’espressione corporea, la figura di Ligabue. Il progetto prevede una terza tappa, quasi utopica nella sua grandiosità visionaria, l’anno prossimo: una installazione di 800 artisti, sul Po, presso Reggio Emilia.

Stratagemmi

Una nuova Primavera di talenti e scoperte

Bisogna dare atto a Saverio La Ruina, Dario De Luca, direttori artistici, e Settimio Pisano, nel ruolo più defilato ma non affatto secondario di direttore organizzativo, che Primavera dei Teatri non è solo la più importante vetrina teatrale del sud d’Italia, ma è stato il luogo dove, nel tempo, si sono affacciati artisti oggi famosi, quando i loro nomi erano ancora pressoché sconosciuti: Fausto Russo Alesi, Ascanio Celestini e Fausto Paravidino, per citarne solo alcuni.
Chi, dopo l’attribuzione a Mario Perrotta del premio Ubu come miglior attore, si fosse aspettato con Pitùr una sorta sequel di Un bès, ha avuto un sussulto di sorpresa. Con apprezzabile coraggio, l’accattivante affabulatore che conosciamo dai tempi di Italiani cincali! ha sparigliato le carte. Nello spettacolo prodotto da Teatro dell’argine si ritaglia il ruolo di borbottante, quasi clandestino personaggio-coro, mentre in scena sette attori/mimi/danzatori/cantanti si muovono spostando pannelli bianchi, sui quali si proiettano frammenti di pittura. Le slabbrature dei movimenti coreutici e l’intonazione incerta dei cori si direbbero frutto di una consapevole scelta drammaturgica, che restituisce nelle forme di una non levigata poesia un ritratto verace del pittore Antonio Ligabue, “lo scemo del paese”, rivelando in Perrotta un amore autentico per quella figura, oltre a un impegno sincero contro ogni forma di discriminazione del diverso

< Torna alla rassegna stampa