Emigranti Esprèss

Emigranti Esprèss

«Sono le storie bellissime, bizzarre, tragiche, comiche, epiche di operai, minatori,
innamorati destinati a perdersi per sempre, che hanno popolato la fortunata trasmissione radiofonica Emigranti Esprèss
e che Mario ripropone live»

Claudia Cannella, Hystrio

Pressinbag

Mario Perrotta al Piccolo Festival della Parola, il coraggio delle proprie idee

Scende la sera nell’anfiteatro comunale di Noci, un vento freddo, bizzarro settembre, fa tremare le ossa e irrigidire muscoli.

Scene essenziali sul palcoscenico, un piccolo leggio, luce su di lui, Mario Perrotta, voce potente che sa prendere l’anima di chi ascolta. Al Piccolo Festival della Parola di Noci le parole di Mario Perrotta coprono le distanze e assumono il loro significato, perché per lui “le parole sono sempre importanti, soprattutto in questo periodo in cui vengono usate con violenza. Le parole sono l’espressione migliore dell’essere umano che lo differenziano dagli animali. Quando le usi con violenza ti riavvicini all’ animale. Per questo sono importanti se usate in maniera umana”. Ti ha già rapito Perrotta con la semplicità di chi sa e ha vissuto, di chi non ha assistito da spettatore inconsapevole al teatro della vita. Dialoga prima di salire sul palco. Quando ha scritto Emigranti Esprèss Perrotta lo ha fatto per “Ricordarci chi eravamo, proprio perché tornando a casa mia sentivo dire ai leccesi ‘è tutta colpa degli albanesi’ come se prima il Salento e la Puglia fossero l’Eden. Io sono andato via nell’ottantotto per studiare all’università. E non ci furono molti cambiamenti dopo il crollo della dittatura in Albania. Ci fu solo qualche sostituzione di manovalanza nella delinquenza. Ma i capi della delinquenza sono rimasti sempre gli stessi e i problemi c’erano già. Feci questi spettacoli per dirci ‘guardate che abbiamo vissuto le stesse storie, siamo partiti con le stesse istanze di chi oggi arriva qui’. Un ragazzo tunisino durante una intervista (un ragazzo regolare, con permesso di soggiorno con i figli che frequentavano la scuola) quando gli chiesi come mai gli ex emigranti italiani sono i peggiori razzisti nei suoi confronti, mi diede una risposta fulminante ‘uno schiavo quando avrà la libertà cercherà sempre di schiavizzare qualcun altro’. E si riferiva alla schiavitù che abbiamo in testa. Noi siamo un popolo di emigrati ed emigranti che tornati sono rimasti schiavi della loro storia e del rapporto con il potere. Ancora oggi so che in questa regione e in altre regioni del sud si comprano voti con 50 euro. Questo significa essere schiavi. Se uno ti compra con 50 euro ti fotterà per 5 anni”.

Nitida e disarmante analisi di ciò che siamo. Ogni parola scritta da Perrotta è il frutto di studi e disamina degli avvenimenti e della natura umana.

Oggi ha ancora un senso parlare di migrazioni. “Dalle regioni del sud si è tornati di nuovo a partire. A volte come emigranti di lusso, cervelli in fuga, laureati che vanno via, a volte come ragazzi che cercano un lavoro anche manuale ma dignitoso all’estero. Questo è il segno di un gap forte che esiste ancora tra nord e sud del paese, e anche al nord c’è l’esigenza di andare via perché mentre ci sono proclami roboanti sul l’invasione degli extracomunitari (che sono sempre poche migliaia di persone che arrivano) non si pensa alle cose concrete, all’economia, alla dignità del lavoro”.

Ha coraggio Perrotta nelle sue parole, “il coraggio delle proprie idee e dovremmo averlo tutti perché va cambiata la logica del ‘sì sì, prima loro, cominciassero loro, cominciassero i politici, gli assessori’. Sempre gli altri, mai noi. No. Cominciamo noi, comincio io, dico quello che penso, mi confronto con chi ha altre idee, uso le parole per confrontarmi e non la violenza. Cominciamo noi altrimenti è sempre colpa di qualcun altro e questa è una cosa che in Italia mi fa disperare. Dispero che cambino le cose perché gli italiani sono così ‘ sono sempre gli altri e mai io in prima linea’. Invece no, io sono in prima linea, poi vediamo cosa accade”.

Al Festival Perrotta porta tre delle storie tratte da Emigranti Esprèss, fortunata trasmissione radiofonica, viaggio su un treno che parte da Lecce, è il 1980, che attraversa l’Italia e la Svizzera e arriva in Germania. Tre storie. La partenza è il viaggio di un bambino affidato a ‘chi ha cuore’ che osserva e ascolta il racconto di chi quel treno lo prende per necessità per cambiare il proprio destino di fame e di stenti. Milano la sua stazione e le sale di attesa, quella per migranti, bagagli logori e panchine per passare la notte e quella per persone normali, e mancati incontri tra innamorati. La frontiera, uomini e donne nudi umiliati per una visita, medica, che dia abilità al lavoro. Perrotta rapisce, commuove, fa riflettere ed anche sorridere. Il cuore delle migrazioni è sezionato con spietata verità e non si può rimanere indifferenti, le lacrime possono solcare i volti anche per la felicità di sentire ciò che si è sempre pensato.

A Noci accade che la parola ha un senso nuovo che è riscatto, è comprensione che gli slogan, quelli, non portano a niente.

È ora di alzarsi in piedi ed applaudire. Da oggi saremo tutti in prima linea.

Lacompagniadellibro.tv

Libri da assaggiare nel weekend

Quattro segnalazioni tra romanzo, fiction e saggistica d’autore.

E cominciamo dalla fiction all’italiana che e in questo caso più italiana non si può: parliamo di “Emigranti Esprèss” che stiamo “assaggiando” proprio in queste ore ma che si presenta benissimo. Scritto da Mario Perrotta e pubblicato da Fandango libri, è il racconto lucido, ironico ma anche delicatamente impietosito dei viaggi di un bambino decenne, nativo di Lecce che una volta al mese percorre tutta la penisola assieme a tanti emigranti per andare a trovare il padre che lavora a Bergamo. Ne scaturisce una fitta trama di vicende umane inserite in uno spazio “nomade” come il treno dove confluiscono sensibilità, visioni del mondo ma anche vicende quotidiane ed elementari ricche di vita e di energia. Da leggere, sicuramente.
Più scanzonato e frizzante “Ginnastica e Rivoluzione” dell’esordiente…

Liberazione

Le migrazioni viste da un bambino

Il primo romanzo dell’attore Mario Perrotta

L’autore ed attore Mario Perrotta (Lecce, 1970) si è imposto al pubblico ed alla critica teatrale con un dittico di spettacoli di affabulazione, Italiani cìncali (2003) e La turnàta (2005), dedicati al tema dell’emigrazione italiana nel secondo dopoguerra. E’ un universo, quello dei migranti, che Perrotta ha conosciuto personalmente quando, ancora bambino, si recava in treno a Bergamo per far visita al padre, trasferitosi al Nord per motivi lavorativi. Proprio su questi treni l’attore ha conosciuto le vicende e le tragedie dei lavoratori meridionali costretti, nella miseria degli anni 50-60, ad emigrare per cercare lavoro nelle cave di carbone o nelle fabbriche del Nord Europa.
Per la preparazione degli spettacoli, tuttavia, ai ricordi d’infanzia (ed alle confessioni raccolte dagli occasionali compagni di quei lontani viaggi) Perrotta ha affiancato le testimonianze di conterranei che, direttamente o indirettamente, hanno vissuto 1’esperienza dell’emigrazione e che lo stesso attore ha intervistato tra il 2002 ed il 2003. Soltanto una parte di questo corpus di speranze e delusioni, di utopie di riscatto sociale e frustrazioni, è infine confluito nella produzione drammaturgica: la restante materia ha trovato espressione in una trasmissione condotta per Radio 2 ed ora in un volume edito da Fandango Libri, in commercio dal 20 marzo.
In Emigranti esprèss, Perrotta ha intrecciato le vicende raccolte durante la documentazione in una fabula d’invenzione, modulata sui dati dell’autobiografia: a radicare il racconto nel vissuto del performer concorre anche la riproduzione, nelle pagine iniziali del volume, di un documento ferroviario intestato ad un Perrotta ancora bambino. Per raggiungere il padre a Bergamo, Mario – voce narrante ed alter ego dell’attore autore è accompagnato alla stazione di Lecce dalla madre e da questa affidato ad una famiglia di emigranti, conosciuti sul treno dopo un’accurata indagine, affinché controllino il bambino fino a Milano, dove lo attende il padre: “Per tre anni siamo andati avanti così, una volta al mese, poi: mio padre se n’è tornato a Lecce […] Tre anni di viaggi però sono tanti. A quante facce diverse sono stato affidato, all’andata e alla turnàta. […] E quelle facce quante storie mi ribaltavano addosso […] Di quelle storie ne ho sentite centinaia di migliaia, milioni, diecimila addirittura. Tutte te le racconto”.
Ecco allora che l’Io narrante si rivolge direttamente al lettore, instaurando con questi un colloquio che per l’intera narrazione si alternerà alla rievocazione quasi in tempo reale, fermata per fermata del proprio viaggio verso Nord (da Milano, Mario ed il padre proseguiranno poi fino a Bruxelles per visitare una miniera ormai dismessa). Un viaggio fatto soprattutto di incontri con uomini e donne che in cerca di migliori condizioni di vita hanno lasciato l’Italia e si sono adeguati ai “lavori sporchi che i nordici europei non volevano fare più: la fabbrica, il contadino, lu fabbrecaturu (cioè il muratore), cammariere e minatore”. Sono questi stessi personaggi a svelare al piccolo Mario le proprie vicende: la signora Ada racconta dell’incidente sul lavoro che ha privato il marito della voce (eppure questi “gliel’ha detto al capocantiere che se non mettono le sbarre di protezione macari [i muratori] cascano, ma quello, tra che non capisce niente perchè parla solo tedesco e tra che li schifa a tutti l’operai stranieri perchè è tutta gente che “non vi va di lavorare e vi lamentate sempre invece di lavorare”, li lascia li a cantare sotto la pioggia, mattone sopra mattone, senza sbarre al secondo piano”; il minatore Michele svela il costo umano imposto alla società italiana dallo sviluppo e dal progresso, perchè nel dopoguerra il governo italiano vendeva al Belgio forza lavoro in cambio del carbone necessario ad alimentare l’industrializzazione del Paese; il sindacalista Tano spiega la lotta di classe ed il comunismo, lo sfruttamento capitalistico e la giustizia sociale, per mezzo di metafore calcistiche; Assunta e il postino Pinuccio raccontano di impossibili amori tra migranti.
Sono personaggi, quelli che Mario incontra sul treno, che mostrano “le facce di tutti gli emigranti, partiti da qualunque paese, in qualunque anno, per qualunque destinazione”: come per i profughi delle miserie e delle guerre di oggi, nei volti e negli sguardi dei compagni di viaggio Mario riconosce una certa aria sospesa, come “una espressione di viaggio perenne, come chi non sa più né da dove viene né dove sta andando”.

Corriere di Firenze

Presentazione Emigranti Esprèss

FIRENZE – Potrebbe essere il ragazzo della porta accanto. L’uomo sul pianerottolo al quale prestare il sale, lo zucchero. Niente trucchi per Mario Perrotta, bastano le sue parole affilate a rincorrersi in dialetto salentino, a creare la magia, a far restare sospesi. A bocca aperta come pesci ad attendere l’amo, un’altra storia. Teatro, radio, ora un libro. Mario è salentino, ha studiato a Bologna, negli ultimi anni ha parlato degli emignanti, i minatori in Belgio, “Italiani Cincali”, in Svizzera, “La turnata”. Poi ha aperto il cassetto personale ed ha tirato fuori la sua personale “Odissea” incentrata su un Telemaco, lui stesso, privato della presenza del padre. Ed ancora, adesso, con il libro “Emigranti Express” (Fandango Libri, 148 pp; 14 euro) dove si intrecciano le avventure, reali, vere, vissute, del piccolo Mario di dieci anni, che da Lecce sfiora tutta l’Italia in treno per raggiungere il padre, e le storie di tanti emigranti che prendevano lo stesso convoglio lasciando le famiglie nel tacco dello Stivale. Quattordici ore: Lecce, Brindisi, Bari, Pescara, Ancona, Rimini, Bologna, Parma, Milano, e poi più su, Zurigo, Stoccarda, Bruxelles. La barbetta di tre giorni. Mancino. Ti guarda dritto negli occhi. Affonda e li senti tutti i chilometri, si annusa la lontananza, si tocca pungente l’odore del distacco, il bagnaticcio delle lacrime, i vagoni sporchi, gli odori unti, le strette da apnea, i baci alla mamma, un carillon di rituali e liturgie, un valzer di solitudini nostalgiche. E la Madre-terra, il luogo di nascita, anche il più desolato e desolante, il più “fottuto” buco del mondo, rimarrà sempre casa, placenta. “Emigranti Express” deriva dalla trasmissione che per quindici puntate a cavallo tra il 18 dicembre ’06 e il 5 gennaio ’07 venne passata su Radio 2: “Avevo dieci anni. Guardavo, osservavo, spiavo, incameravo facce, separazioni, i lamenti ma anche la felicità, i sorrisi quando si aprivano i cestini con la cena preparata per plotoni d’affamati: le melanzane, le polpette, la pasta al forno, non potevi nemmeno immaginare che cosa non usciva da quegli incarti”. Anche Mario ha dovuto lasciare la propria terra: “Oggi il Salento è tutto pizzica e taranta”, dice un po’ polemico verso chi, forse, ha svenduto al turismo. Ogni capitolo del libro è dedicato ad una tappa del viaggio: “Il modo migliore per raccontare una terra è attraverso gli occhi degli emigranti”. Ed infatti il libro è il risultato di “centocinquanta ore di interviste che erano rimaste fuori dai miei spettacoli e che reclamavano di essere raccontate”. Racconta e sembra di sentire Mimì metallurgico. La stessa ironia amara, in bianco e nero. La scrittura è sgrammaticata. In fondo al libro il Glossario maccheronico salentino. “Tutto il mio lavoro vuole essere una riflessione sugli immigrati che vengono oggi da noi. Quando ho chiesto ad un ragazzo africano sul razzismo che subiva mi ha risposto che uno schiavo quando avrà la libertà cercherà sempre di schiavizzare qualcun altro”.

RollingStone

Emigranti Esprèss

Mario Perrotta ha 10 anni quando sua madre lo mette sul treno che da Lecce fa rotta su Milano carico di emigranti. E’ il 1980, e d’allora il rito si ripeterà ogni mese per permettere a Mario di vedere il padre che lavora a Bergamo.
Sull’escamotage del viaggio in treno Mario Perrotta, autore e attore teatrale, costruisce un romanzo corale, raccontando le storie degli emigranti incontrati in quegli scompartimenti. C’è Ada, vecchia abruzzese partita negli anni ’50 per Zurigo “per andare a fare le servizie in casa di una famiglia svizzera”; c’è il Professore, ventidue anni, “semilaureato” in fuga da una delusione d’amore, che fa l’operaio a Monaco di Baviera; c’è Virgilio, che accompagna Mario in un viaggio onirico nelle bolge infernali delle miniere del Belgio…
Un libro bello, merito anche della lingua che impasta italiano e dialetto leccese, e dallo sguardo leggero e incantato del narratore bambino. Una storia preziosa che, raccontandoci chi siamo stati fino a pochi anni fa, ci aiuta a guardare con occhi diversi l’immigrazione straniera nel nostro paese.

Pagina Uno - Percorsi Intellettuali

Emigranti Esprèss

Le stazioni intermedie del tratto ferroviario Lecce-Stoccarda scandiscono i capitoli del libro, e il bambino Mario, dieci anni, racconta con la vivezza della calata leccese il viaggio-simbolo, uno dei tanti viaggi mensili nel quale lo imbarca la madre – aggregandolo a una famiglia emigrante scelta di volta in volta – mentre il padre, professore a Bergamo, lo attende non senza trepidazione a Milano.
Un’avventura nella quale Mario può dare la stura al proprio estro di affabulatore – “da grande” Mario Perrotta è attore e regista – assorbendo e rimandandoci storie, riflessioni e personaggi dell’epica migratoria italiana. Uno sguardo solo artatamente infantile, per permettere a Perrotta di affrontare con leggerezza e ironia un tema dai risvolti tragici. Il ritmo del parlato rivela, sulla pagina scritta, qualche reiterazione di troppo ma è una pena lieve in cambio di momenti quali la partita di calcio tra capitalisti e marxisti, la genesi della Lega attraverso Schwarzenbach, o la discesa dantesca in miniera. Si sorride amaro, perché dietro le osservazioni pragmatiche o ricche di pietas del bambino Mario, la voce adulta e accusatoria di Perrotta ci ricorda miserie e tragedie di un popolo dallo sguardo sospeso di viaggiatori perenni. Un bel promemoria per chi è pronto oggi a trasformarsi da vittima in carnefice.

Akasteveblue.wordpress.com

Emigranti Esprèss

All’interno dell’Estate Romana 2017 e per la rassegna Sguardi Oltre 2.0 (curata dall’associazione Percorsi Accidentali) il pluripremiato attore, drammaturgo e regista Mario Perrotta ha scelto l’inusuale cornice del Parco Insieme di Settecamini per la prima romana del suo spettacolo Emigranti Esprèss. Questo monologo, come affermato dallo stesso autore, nato in principio per Rai Radio 2, discende da un progetto molto più ampio fatto di ricerca, interviste e scrittura partito dal 2002 e poi concretizzato nella creazione di due spettacoli teatrali sull’emigrazione italiana del dopoguerra, Italiani cìncali e La turnàta, che lo hanno reso famoso al grande pubblico.
Emigranti Esprèss narra la storia vera del piccolo Perrotta che, dai dieci ai tredici anni, durante la tratta del treno per raggiungere suo padre a Bergamo, veniva affidato dalla madre, con una sorta di tacita “adozione pro-tempore”, alle famiglie di emigranti che partivano da Lecce per andare a lavorare fuori dall’Italia. Mario inserisce magistralmente in questo contesto personale le storie degli ormai “non più sconosciuti” emigranti raccontate con gli occhi di lui bambino e, queste, gli danno lo spunto per veicolare al pubblico temi forti come, per esempio, il mesotelioma causato dall’intossicazione da amianto, l’amore (emozionante la vicenda di Assunta) e le umiliazioni subite dagli italiani al confine bollati come bestiame “buono solo per lavorare”.
L’inserimento di frammenti di interviste ed un ottima cura nelle musiche, che emerge dalla presenza di pezzi dal sapore un po’ mistico tipo Hoppípolla dei Sigur Rós o di nicchia come The Blower’s Daughter di Damien Rice, non fa che impreziosire lo spettacolo creando l’atmosfera giusta in ogni momento.
Mario Perrotta, con una narrazione quasi cinematografica e molto descrittiva, è intenso e rievoca ogni dettaglio dell’esperienza fatta da bambino con tanta ironia e commozione facendo vivere allo spettatore ogni minimo ricordo (emozionante è il momento in cui racconta di quella volta in cui al suo arrivo non trovò suo padre ad attenderlo).
L’autore ha il grande merito di aver collezionato queste storie, così nostre in quanto italiani, così vicine a tutti noi, ed aver fatto in modo che la memoria non vada perduta nel tempo.
Decisamente da vedere.

Per chi non avesse la possibilità di assistere allo spettacolo è possibile riascoltare per intero tutte e 15 le puntate trasmesse in radio di Emigranti Esprèss online ed on demand attraverso il seguente link.

Scuolaholden.it

Emigranti Esprèss

Difficile amare la propria lingua tanto da goderne quando la si ritrova in un libro: adoro il romanesco mitragliare di Celestini Ascanio, ma difficilmente mi faccio incantare da un mio conterraneo che fa qualcosa di simile.
Ma Mario Perrotta in Emigranti Exprèss riesce a rendere il leccese una lingua viva, anche su carta, in un breve romanzo-reportage ambientato nel 1980 su un treno che da Lecce porta i lavoratori italiani all’estero, Svizzera, Belgio, Germania, a lavorare nelle miniere e nelle fabbriche. Su quel treno viaggia il piccolo Mario, che invece deve andare a Milano dove vive suo padre a farsi controllare l’apparecchio ai denti. E intanto può divertirsi col gioco più lungo che conosce (il primo palcoscenico per un attore): ascoltare e raccontare storie per tutta la durata di quel viaggio infinito, che lo porterà infine in Belgio e poi ancora, al ritorno in Salento.
L’italiano sporco di salentino di Perrotta incornicia tutte le storie dei migranti che incontra: una lingua affabulatrice proprio come quella del collega Celestini (Perrotta è prima di tutto un apprezzatissimo autore/attore di teatro), che avvolge il lettore mentre i cunti, a volte reali, duri, altre comici, altre ancora dipinte da un candido simbolismo infantile, creano un’atmosfera che ti fa chiudere il libro pieno, quasi malinconico per aver appena lasciato quel treno.
Emigranti Exprèss nasce come progetto radiofonico per RadioDue e ne conserva lo stesso filo narrativo: ogni fermata un capitolo, e mille storie, dal minatore Virgilio col petto blu al professore che si inventa lettere d’amore tra chi è andato e chi è rimasto, da chi lavora per vivere a chi vive per lavorare, passando per leggi sull’immigrazione che furono, altre ancora in vigore e, guarda un po’, altre ancora da farsi.

Lettera.com

Emigranti Esprèss: Il treno di un passato mai troppo remoto

Tutto il nero di tutto il carbone di tutto il mondo, a questo sole non ci può tingere neanche un raggio!

“Tutto il nero di tutto il carbone di tutto il mondo, a questo sole non ci può tingere neanche un raggio!”: è questa una delle esclamazioni finali di Emigranti Esprèss, breve romanzo-reportage di Mario Perrotta. Ed è affidata alla bocca di Pinuccio, postino nel Salento negli anni in cui gli emigrati all’estero scrivevano lettere per far sapere come stavano a chi era rimasto al sud. Nell’opera di rimozione generale riguardo all’emigrazione italiana, quello del postino è un ruolo chiave: l’unico che ha memoria di ciò che fu, perché lo leggeva in tutte le lettere.
La frase di Pinuccio racchiude le speranze e le illusioni di chi, appunto, rimaneva, e anche di chi invece se ne andava. La possibilità di ritrovare quel sole da cui si era partiti (la “turnàta”): in evidente contrasto con tutto il nero (e il blu) del carbone che scorre durante il romanzo.
Mario Perrotta, nel 1980, aveva dieci anni, e ogni mese andava a trovare suo padre a Milano. Doveva farsi controllare l’apparecchio ai denti, e così sua madre lo metteva sul treno degli emigranti che da Lecce partiva ogni sera per portare all’estero i lavoratori italiani. Lo affidava ogni volta a gente diversa, e la cosa non poteva che rallegrare il piccolo Mario: per lui il treno era il primo palcoscenico, il gioco più lungo (il viaggio durava quattordici ore) e divertente che un bambino potesse trovare. Perché sul treno, Mario, lasciata la famiglia a cui veniva affidato, gironzolava, ascoltava le storie degli emigranti, raccontava le sue piccole bugie, insomma, era attore e spettatore di un periodo storico che oggi sembra, erroneamente, lontano nel tempo.
Nel romanzo, Mario arriverà a Milano e da lì continuerà il viaggio con suo padre passando per la Svizzera e la Germania, fino al Belgio, dove Perrotta è tornato da attore e autore dei suoi spettacoli teatrali (Italiani Cìncali! e La Turnàta), lavori sullo stile di Paolini e Celestini (con cui lo stesso Perrotta ha collaborato). E del teatro, del ritmo della parola orale si nutre questo romanzo, scritto in un italiano sporcato di leccese che risulta vivo e credibile al lettore, cui Perrotta si rivolge come se, appunto, stesse raccontando una storia in treno. ‘ la capacità di intrattenere dell’autore a creare quell’atmosfera che fa del viaggio stesso la destinazione e che ti fa abbandonare il mezzo con un po’ di malinconia’, così come accadrà per questo libro.
Come nelle opere di Celestini, la trama si sviluppa a fisarmonica, aprendosi e chiudendosi, allungandosi per via delle mille storie incasellate nella storia principale, i racconti che Mario ricorda e quelli che gli vengono raccontati (raccolte nelle interviste che il Perrotta adulto ha poi registrato per l’omonima trasmissione radiofonica di RadioDue da cui è tratto il libro e per i suoi spettacoli teatrali). Storie che l’autore riporta con la caratteristica capacità affabulatoria del racconto orale: il dialetto salentino diventa il principale protagonista del romanzo. Insieme al treno che, come diremmo oggi, è un perfetto non-luogo, e che, invece, finisce per diventare il vero e proprio luogo unico del romanzo, grazie anche ai tentativi tipicamente meridionali (tavolate improvvisate con ogni tipo di cibo) di renderlo più umano durante un viaggio. Viaggio che, si leggerà, di umano aveva ben poco.
C’è poi la materia vera e propria di Emigranti Esprèss: l’emigrazione. Il libro arriva in un periodo particolare, in cui una parte dei cittadini italiani sembra aver dimenticato quando toccava a noi emigrare in condizioni poco felici. I viaggi dei lavoratori ‘stagionali’ o ‘annuali’ erano veri e propri viaggi della speranza, figli di volontà politiche degli stati firmatari di accordi bilaterali sull’immigrazione, accordi che poi sembravano tenere poco alla dignità delle persone. E dunque: il rischio di fare retorica, in questi casi, è sempre alto. Come sfuggire alla sindrome del come eravamo, senza dimenticare o sminuire appunto la materia di cui Perrotta vuol parlare? Esattamente col suo stile, col suo approccio alla materia in questione: semplice, diretto, rivolto all’esperienza e alla memoria del singolo individuo piuttosto che alla moltitudine. Raccontando delle storie che stanno tutte sullo stesso piano, ma inquadrate da angolazioni specifiche: dal minatore col petto blu all’operaio che si spacca la testa contro il muro per la disperata solitudine natalizia all’estero, alla donna che in fabbrica spacca la testa a un collega svizzero che esagera con le attenzioni perché le italiane sono donne facili, dal professore che scrive le lettere per gli innamorati lontani e analfabeti, fino al marxismo spiegato con il calcio; tutto però elaborato dagli occhi e dalle orecchie del piccolo Mario, che spazia da un realismo di situazioni a volte comiche, altre malinconiche e dure, fino a un candido simbolismo infantile (il treno su cui salgono a Lecce i lavoratori, preso d’assalto persino dai finestrini, diventa un mostro che mangia le persone), capace di riannodarsi a un certo intento documentaristico (il minatore col petto blu per le esalazioni di carbone diventa Virgilio e in sogno porta Mario in una miniera, descrivendo minuziosamente le claustrofobiche condizioni cui erano sottoposti gli italiani). Che rimane anche quando Perrotta ricorda le assurde e umilianti leggi sull’immigrazione ancora vigenti o da poco abrogate in Germania e Svizzera, che poco facevano per la dignità umana degli immigrati (ricorda qualcosa?).
Insomma, l’intento di Perrotta è duplice: da un lato incantare, intrattenere (nel senso più alto del termine) e da un altro trattare una materia attuale in modo vivo, proprio perché presente (il fenomeno dell’emigrazione cambia, assume forme diverse, ma non ha mai smesso di interessarci, soprattutto al sud), attraverso l’uso della lingua affabulatrice di un italiano sporco di dialetto. In quattordici capitoli, uno per ogni fermata, Perrotta riesce a farci affezionare a tutte quelle storie che racconta e, cosa che accade per pochi libri, dispiace doverlo chiudere. Come quando si abbandona un treno ricco di storie interessanti.

Klpteatro.it

Gli Emigranti Esprèss di Mario Perrotta

Il viaggio di Mario Perrotta da Lecce a Milano (poi svisato fino a Bruxelles) è, tutto sommato, breve: quegli interminabili chilometri che lo distanziano da una meta rivista e corretta strada facendo scorrono veloci, cadenzati dalle città sorpassate in treno e dai personaggi che identificano un’epoca. Così, tra notte e giorno (e viceversa), Perrotta riporta i trenta-quarantenni d’oggi all’infanzia degli anni ’80: una decade ragazzina segnata dai “Ringhio”, famosi biscotti vaniglia e cioccolato, o dal tifo stereotipato per la “magica Juve”.
Mario ha dieci anni e periodicamente raggiunge suo padre, insegnante a Bergamo. “Mentre è su” ne approfitta anche per un controllo all’apparecchio dei denti, altro must anni Ottanta.
Tuttavia, per arrivare alla stazione centrale di Milano, ci sta di mezzo l’Italia da attraversare. Così, da buon figlio di genitori separati, viene con cura affidato dalla madre alle “persone giuste” sul treno, tanto perché gli diano un’occhiata in quei mille e passa chilometri che tagliano la penisola. In realtà, però, è un affidarlo al treno intero perché Mario, su quelle carrozze, va alla ricerca di vite in movimento, drammi e amori sbocciati o appassiti. Trovando, in sottofondo, la miniera che, come un’oscura presenza, rimane sopita fino ad esplodere in aneddoti malinconici, tristi, veri. Perché lì, in tanti su quel treno, raggiungono Svizzera, Germania, Belgio: le Pais Noir. E non per il cioccolato. Sono emigranti, quegli stessi uomini che hanno lasciato nei gironi danteschi delle cave vite, salute, arti ed emozioni… Ma, spesso, sono anche gli stessi che, ora, differenziano emigrati di serie A (loro) e di serie B (gli altri, i nuovi).
Divertono e commuovono i racconti di Perrotta, che riesce a cogliere le sfumature di epopee familiari attraverso gli occhi d’u’ vagnone salentino. Senza sbrodolature e dosando bene sorrisi e amarezze.

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Emigranti Espress

Lecce, Brindisi, Bari, Pescara, Ancona, Rimini, Bologna, Parma, Milano: queste le principali fermate in territorio italiano del treno “La Freccia Salentina” che in più di 30 anni di onorata carriera ha trasportato centinaia di migliaia di emigranti da Lecce a Milano e poi su fino a Stoccarda e Bruxelles. Nel 1980 Mario Perrotta aveva 10 anni e una volta al mese andava a Bergamo per farsi regolare l’apparecchio ai denti. Lui viveva a Lecce con la madre: il padre, professore di scuola superiore, lavorava a Bergamo. I suoi genitori, tra i pochi che hanno fatto il sessantotto nel tacco della penisola italiana, erano comunisti e separati e avevano concordato che per essere separati e contenti occorrevano almeno 1000 km di distanza tra di loro. Lecce-Bergamo sono 1085 km: distanza perfetta. L’apparecchio ai denti fatto da un dentista di Bergamo serviva anche a permettere al bambino di avere un rapporto costante con il padre. In tanti mesi di su e giù Mario incontra sul quel treno volti, persone, storie che stimolano la fantasia di un bambino e che, nel ricordo dell’adulto, diventano storia: la Storia dell’Italia del Sud che dopo la seconda guerra mondiale emigra verso il nord dell’Europa. Nel 1946 per esempio la neonata Repubblica Italiana e il suo governo guidato da De Gasperi aveva firmato un accordo con il ministro belga Van Hacker: manodopera in cambio di carbone, materia prima necessaria alla ricostruzione del paese. Il Belgio si impegnava a dare all’Italia 2500 tonnellate di carbone per ogni minatore italiano. Ma prima di arrivare da Lecce a Bruxelles il treno, nelle quasi ventiquattro ore di tragitto, si ferma in tante stazioni e “la sanguisuga a mille bocche”, come lo definisce Perrotta, mangia persone da ogni possibile orifizio: porte e finestrini, non vi è differenza né scelta preferenziale. Il treno parte alle 20:10 da Lecce e, siccome nel 1980 non esiste ancora la prenotazione del posto, l’unico modo per sperare di poter stare seduti fino a destinazione è quello di arrivare un’ora prima in stazione e di provare l’assalto al treno appena arriva al binario di partenza dal deposito. In 3 minuti l’assalto a futticumpagnu è finito, e la fiumana di gente è seduta al proprio posto generalmente in gruppi facilmente individuabili: famiglie, padri soli che ritornano al lavoro che li tiene lontani da moglie e figli, giovani studenti… e poi c’è lui, Mario, che viaggia da solo non senza, però, che la mamma abbia trovato una famiglia alla quale affidarlo. La famiglia viene scelta con cura: il principio selezionatore è la gratuità con cui si offrono di badare al bambino anche a costo di rinunciare ad un posto faticosamente ottenuto assaltando il treno. E così comincia il viaggio. E per Mario ogni volta è un viaggio nuovo e diverso: può cambiare identità, inventarsi una vita tutte le volte diversa per sé e per la sua famiglia. Ma soprattutto in ogni viaggio può guardarsi attorno e incontrare persone nuove che alla fine di quel lungo percorso sulla strada ferrata compongono il quadro di un’umanità straordinaria. La signora Ada con la figlia Rosa, il figlio Ronzinu (diminutivo di Oronzo, santo protettore di Lecce), la vecchia madre e il marito Antonio che non proferisce parola perché un incidente sul lavoro gli ha compromesso l’uso delle corde vocali. Il professore, così chiamato perché studente in Lettere che dopo una delusione d’amore ha deciso di andare a lavorare per un po’ di anni all’estero in miniera e, unico istruito tra molti quasi analfabeti, ha cominciato a scrivere lettere d’amore per tutti. E poi il minatore abruzzese con la pelle blu a causa del carbone penetrato nell’epidermide come un tatuaggio indelebile. Il minatore che domanda a Mario: “Tu lo sai quanto misura la testa? 20-22 cm. E’ poco meno dello spazio massimo a disposizione dei minatori che devono aprire nuove vene nella miniera. Al mattino si deve scegliere se mettersi di pancia o di spalle e poi tutto il giorno a scavare con le mani”. E ancora Ivan, il sindacalista, che spiega a Mario la partita sempre aperta tra la squadra dei comunisti e la squadra dei capitalisti utilizzando una perfetta metafora calcistica…
Emigranti Espress è il testo di un programma radiofonico dal medesimo titolo, andato in onda su Radiodue nel dicembre del 2006. È un’opera meritoria e certosina di ricostruzione storica, un piccolo scorcio su una delle tante facce dell’emigrazione, il risultato di molte interviste raccolte direttamente nelle piazze dei piccoli centri del Salento. Chiunque abbia preso quel treno partendo da Lecce e diretto verso nord non può non riconoscere e non riconoscersi in ciò che legge. L’uso della lingua dialettale è perfetto, a momenti magistrale, trasuda saggezza popolare e un misto di rassegnazione e voglia di combattere contro un destino che a tratti si crede segnato, a tratti si crede riposi nelle proprie mani. La contraddizione dell’essere sud è bene espressa: si ride e si piange nello stesso momento perché nella vita il dramma a volte porta con sé anche qualcosa di grottesco e comico. E allora si ride… con le lacrime.

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